sabato 28 novembre 2015

Me la ricordo bene la prima volta che mi sono innamorata. Ma non per gioco. La prima volta che mi sono innamorata forte. Così forte da non essere corrisposta.
Avevo diciassette anni, lui qualcuno più di me.
Frequentavamo lo stesso ritrovo, anche se io nel gruppo dei piccoli e lui in quello dei grandi.
Non era libero. Aveva una ragazzina, già da un paio di anni.
Eravamo conoscenti, poi diventammo amici, poi qualcosa in più.
Almeno per me.
Al pomeriggio studiavo e verso le 18 uscivo con le amiche fidate per andare nel posto di ritrovo.
Mi sedevo sul muretto ad aspettare che lui facesse capolino, anche solo per pochi istanti, dopo il lavoro.
Arrivava con la sua macchina e già questo mi pareva un segno di potenza e di virilità non indifferente
I saluti, prima schivi, divennero sempre più affettuosi.
I ciao sfuggenti divennero ben presto lunghe chiacchierate.
Io lo amavo. Sempre più.
Lui ovviamente era in crisi con la fidanzata.
Io lo ascoltavo. E ascoltavo i problemi con lei, con il lavoro, con i genitori, col gatto, con lo zio, col cognato del cugino.
Non gli ero indifferente, ma stava con un'altra.
E allora succedeva che il lunedì mi dava una speranza per il mercoledì ritrattarla.
Ma io ci credevo. Perché avevo 17 anni, ed a 17 anni tutto può succedere.
Continuavo pertanto ad amarlo. E ad aspettarlo seduta su quel muretto.
Ricordo esattamente la notte della vigilia di Natale di quell'anno. Mi aveva promesso che la sera sarebbe passato dal nostro ritrovo per scambiarsi i regali.
Lo aspettai al freddo.
Col mio pensiero impacchettato e il cuore colmo di aspettative. Lo aspettai fino alle 24.00. Ritardai anche il rientro a casa.
Ma lui non si presentò.
Trascorsi il giorno dopo, il 25 dicembre, a piangere.
Lo ricordo benissimo.
I parenti a pranzo, i tortellini in brodo, il lesso, l'arrosto, il panettone e la frutta secca. Io che mi alzai nel bel mezzo del Natale per chiudermi in camera mia. Quanto piansi.
Abbracciata a mia mamma prima e a mia zia dopo.
E giuro che sembra ora da quanto fece male.
Lo vidi poi il giorno dopo, per Santo Stefano. Mi portó il suo regalo. Una sciarpa, non era neppure incartata. Io avevo invece comprato il nastro e la carta più bella, per confezionare quel peluche da attaccare alla sua macchina. Avevo scritto anche un biglietto di 1460 caratteri. E lui neppure un post it con su uno stringato Buon Natale.
I mesi continuarono così.
Io seduta sul muretto.
Lui a volte c'era. A volte no.
Arrivó giugno ed il mio 18esimo compleanno. Feci una festa meravigliosa in una villa in campagna. Io ero bella e giovane. In un vestito bianco che avevo disegnato e che la mamma di una mia amica aveva cucito per me.
Tanta gente, tanti amici.
Lui arrivó a festa inoltrata, con gli altri quattro ragazzi con cui faceva squadra fissa.
Era finalmente tutto perfetto.
C'era lui, c'erano le amiche, i miei genitori, e la voglia di vivere dei miei 18 anni.
Quando finì la festa, presi mia mamma da una parte.
- Ehi, lo hai visto Lorenzo? - chiesi.
- Si - mi rispose subito.
Poi aggiunse:
- Quando è arrivato c'era anche il babbo, che ha dato la mano a tutti gli altri ragazzi per presentarsi tranne che a lui -
- E perché ha fatto così? domandai io.
- Beh - rispose la mamma.
- Tuo babbo me lo ha spiegato in questo modo:
"L'ha fatta piangere troppe volte perché io potessi anche solo salutarlo".
Da allora non l'ho più aspettato seduta su quel muretto.
Perché all'alba dei miei 18 anni, ho capito l'amore.
Ed ho capito come si comporta un uomo,quando davvero ti ama.
Non sopporta, che tu pianga.

mercoledì 25 novembre 2015

Torno a casa alle sette, da stamani alle otto.
Le solite dieci cartelle sulla spalla, le buste della spesa, il cane da portar fuori, i letti da rifare.
Ma non importa.
Metto a posto la spesa, porto fuori il cane, rifaccio il letto, metto il pigiama ai bambini.
Mi tolgo il décolleté che dopo 12 ore ho dei calli che sembrano un bambino di tre mesi. Indosso la tuta ed inizio a cucinare. Roba veloce, per far sì che questi figlioli possano cenare ad un'ora decente....
Mi butto sulle crocchette di pollo, sperando di imitare Mc Donald ma convinta del fatto che al primo assaggio loro mi diranno: Mamma quelle del Mc sono meglio.
Apparecchio, friggo e intanto preparo le cartelle per domattina.
Ore 20.10 tutti a tavola.
Ecco. Finalmente mi siedo.
Addento le mie crocchette, una patatina e due foglie di insalata.
Ma non conta cosa sto mangiando.
Conta che sono seduta.
E la sensazione è come quella di trovarsi alle Maldive, su una spiaggia bianca, con due che ti sventolano ed una che ti massaggia i piedi.
Sono a sedere. E già penso al pigiama caldo che sto per indossare, al divano, alla TV, al piumone ed al cuscino.
Ma in dieci minuti la cena finisce.
Ed ecco che sopraggiunge il momento più tragico della giornata. Doversi alzare di nuovo. Svuotare i piatti, affrontare l'olio, l'unto e gli avanzi. Le briciole, i piatti sporchi, il piano cottura infrittellato e i sacchi della nettezza che puntualmente si rovesciano.
E improvvisamente dalle Maldive ti pare di essere a Ladispoli.
Perché il problema non sono le 12 ore dalle otto alle otto. No.
Il problema l'è sparecchiare dopo che t'hai toccato una sedia.
E non è finita.
Perché a questo punto sopravviene il pensiero definitivo, quello che ti uccide del tutto.
E ti ricordi che hai la lavastoviglie guasta. Quella che ancora non hai fatto accomodare per risparmiare quel cinquantino che ti ci vorrà solo perchè qualcuno si degni di venire a vedere i' che l'ha fatto la tua lavapiatti.
Ora. Io capisco che posso stare più o meno simpatica. Ma che sia un mese e mezzo che rigoverno e ancora non sia stato avviato una processo di canonizzazione per la Gazza, lo trovo decisamente da stronzi.

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lunedì 23 novembre 2015

Qualche giorno fa, era tardo pomeriggio, stavo guardando la vetrina di un negozio in attesa che mia figlia finisse la sua lezione di pattinaggio.
Mi si avvicina un tipo. Un bel tipo.
Completo grigio scuro, camicia celeste con le cifre, pashmina blu.
Mi sorride:
+ Scusa, sei sola?...
Già l'approccio mi era parso subito parecchio triste, ma mi son detta che in fondo dovevo apprezzare. Che dallo "scusa hai da accendere" già aveva fatto progressi.
Rispondo:
- Beh, salvo che qualcuno non mi stia pedinando, direi di sì.
Accenna un sorriso e parte subito con una serie di complimenti (della serie sei carina etc etc) senza cavalcare la mia ironia. Ma ok. Mi dico ancora una volta di non giudicare.
Ci scambiamo qualche parola ma capisco che il tempo stringe e che devo andare a prendere Vittoria.
Glielo faccio presente.
Apre la sua bellissima borsa di pelle da lavoro ed estrae l'apposito porta biglietti da visita in pendant con tutto il resto.
Il Dottor X mi porge i suoi contatti e mi dice, scostandosi dalla fronte il ciuffo phonato e gettando uno sguardo furtivo, all'auto stima finalizzato, al proprio riflesso nella vetrina:
+ Qui c'è il mio numero, se una di queste sere ti va un birrino?
Spalanco gli occhi!
(Un birrino?? Mi ripeto tra me e me. Ma che sono un tuo amico? Perché non si va al primo circolo? E poi dopo i' che si fa? Una briscola!?)
Ma semplicemente rispondo:
- Grazie, nel caso ti chiamo.
Ho girato l'angolo e gettato il biglietto.
Oggi, invece, sono uscita alla 13 da lavoro. Ho mangiato un panino al volo in macchina e mentre stavo rientrando, mi sono fermata ad un bar lungo il tragitto.
Proprio accanto al bar, un palazzo di circa 4 piani dove, con tutta evidenza, erano in atto i lavori di ristrutturazione della facciata.
Esattamente quando stavo entrando nel bar, arriva un ragazzo. Un muratore che probabilmente si stava prendendo una pausa e che stava lavorando alla suddetta facciata. Jeans strappati, felpa, scarpa antinfortunistica e qualche schizzo di calcina in qua e là.
Mi vede ed accelera il passo. Solo per aprirmi la porta e farmi entrare per prima.
+ Prego signora.
E mentre lo dice mi guarda. E mi guarda così intensamente quasi a volermi dire: se ti prendo ti metto su quell'impalcatura e ti fo vedere la Madonna e tutti i Santi. Lo capisco. Ma lui è galante.
Prendo il mio caffè, in disparte. Arrivo a pagare e il cassiere mi fa:
+ il caffè lo ha già pagato quel ragazzo lì.
Era lui. Che era appena uscito.
Esco e lo ringrazio. Poi scappo e scappo perché la mia vita è una corsa.
Ma l'ho ringraziato mille volte. E mentre lo facevo ho ripensato al Dottor X.
E mi son detta che è proprio vero, amiche mie.
È assolutamente vero.
Ed è vero che l'abito non fa il monaco, né, tantomeno, il maschio.

sabato 21 novembre 2015

La cosa bella di quando esci con le amiche e sono le amiche giuste, è che non importa dove vai. Puoi azzeccare la festa più glamour del momento e relazionarti col tipo col risvoltino, l'orologio sul polsino e il Dom Perignon in tasca. Oppure finire nel circolo di campagna, dove il più fine ti invita a ballare dopo essersi pulito il pomodoro della pizza rimasta sulla bocca con la manica del golf.
Non importa perché il momento top della serata sarà sempre quando risalirete in m...acchina.
Stanche, un po' brille, ma felici. Perché in macchina maturerà la sola parte esilarante della serata. Perché ci sarà da ridire e da ridere. Del miliardario chic, del grezzotto rutto libero, della fidanzata di quello moro, della cameriera, del proprietario del ristorante, del cane del vicino di tavolo.
E li, tu con le tue amiche darai il meglio di te.
E ti lascerai andare a riflessioni sulla pace nel mondo, per un attimo dopo, pensare alla scopata più riuscita dell'ultimo periodo.
Roba che nemmeno cinque uomini a briscola alla casa del popolo.
Ma così funziona.
Perché tutto resterà in quella macchina.
Le lacrime, le risate, le parolacce, le confessioni.
Poi scenderai. Rientrerai a casa. Ti metterai il pigiama. E già penserai alla Valle D'Aosta che dovrai studiare il giorno dopo con tuo figlio. Ma con una certezza. Che in fondo pure quella, dopo la tua serata in macchina, ti sembrerà più bella.

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martedì 17 novembre 2015

L'ho anche frequentato per un periodo, uno tutto muscoli e addominali. Uno di quelli che quando ci sedevamo al ristorante faceva il conto delle calorie che gli mancavano da ingurgitare per completare il percorso ottimale segnato dal personale trainer. Uno di quelli che ordinava un filetto scondito. E che quando esordivo con la mia carbonara, mi guardava come se avessi arrotato un pedone sulle strisce.
"Ma sulla sera è troppo pesa?".
Così mi disse, e io ripiegai con un finto s...orriso su di un'ottima caprese.
Uno di quelli che poi, quando arrivi al dopo cena, ti toglie il vestito, lo ripiega, lo appoggia sull'appendino e volendo ci passa anche un po' di Stira e ammira.
Fu drammatica la serata e la ricordo ancora. La ricordo così tanto che da allora sono stata molto più accorta. Ho capito che un uomo (come una donna del resto) lo si capisce e lo si conosce a tavola.
Uno che ti ordina una bistecca con l'osso e magari ci sorseggia un brunello e quando ti versa il vino ti guarda negli occhi. Poi taglia il primo pezzo di Fiorentina e ti guarda ancora. E mica ti guarda. Ti spoglia. E ti spoglia mentre mastica e gode. Per il piacere della carne, per il sapore del rosso.
Uno che si siede e si ordina un'amatriciana. E alla prima forchettata ti fa il piedino, quasi a dirti "cazzo, ora ti metto al posto della pancetta".
Uno che si prende un tiramisù, e col cucchiaino ti imbocca, lasciando a te il pavesino più buono.
Uno che a tavola gode. E gode perché mangia e perché mentre mangia ti guarda.
E non vale solo per gli uomini. No la tavola è unisex.
Ma che son donne quelle che si siedono ed ordinano un'insalata? Ma che son donne quelle che guardano ad un pezzo di salame come se fosse un testimone di Geova? No, che non lo sono. E sono quelle che se poi ti invitano per un drink nella loro casa dopo cena, sull'uscio ti fanno levare le scarpe e ti infilano le pattine.
Le donne sexy sono altre. Sono quelle che un bicchiere di vino lo gustano e una pastasciutta la seducono.
Ricordo una scena, del film Flashdance. Lei un'operaia, lui il grande capo. La prima cena. Lei si toglie la giacca mostrando una schiena che vabbè. Si arriva fino lì. Ma poi inizia a mangiare aragosta. Con le mani. E si lecca pure le dita. Ma lo fa con una grazia, con una eleganza con una sensualità, che lui era già andato, era suo, che nemmeno quando lei ballava mezza nuda nel night.
Perché il buon cibo è come il buon sesso. E non c'è l'uno senza l'altro.
Ed io se parlo degli uomini, è perché donna sono.
E allora dico che va bene il romanticismo, la canzone ed il tramonto. Ma quando c'è da amare, come da mangiare, il maschio deve essere maschio.
E deve essere quello che ordina l'amatriciana e il vino rosso.
Perché poi noi donne siamo così. E ci piace essere prese così. Con passione con forza ed impeto. Con voglia ed irruenza. Così come si agguanta e si gusta un pezzo di rosticciana. Con le mani, mica con la forchetta.

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