venerdì 28 agosto 2015

La prima volta

La prima volta che sono uscita con Lui era una serata d'estate, calda. Caldissima.
Era un po' che aspettavo questo invito a cena, ma Lui si è fatto desiderare come si confà ad un professionista preso da impegni, riunioni, convegni, figlie ed ex mogli da gestire. Mi aveva corteggiato,un po'si. Qualche messaggio, qualche complimento, ma l'invito tanto atteso è arrivato quando forse non lo aspettavo più.
Non ero nervosa. Di più.
Lo conoscevo appena. Ma lo ammiravo, da tanto. Quando lo vedevo passare, con la sua giacca impeccabile, con il rayban che gli disegnava il volto, con la borsa da lavoro piena di cause, di risarcimenti, di tutele e di sentenze.
Io indossavo una tuta, nera. Aperta sui lati e nella schiena. Praticamente nuda.
Entriamo in questo ristorante che io così lo avevo visto solo nei film.
Lui mi apre la porta, io mi volto ed immediatamente mi scappa un onestissimo "anche meno".' Percorriamo il lungo corrioldoio fino ad arrivare al nostro tavolo, tra gli occhi increduli delle signore per bene, avvolte nei loro abiti bon ton. Io con la mia tuta nuda e i miei tacchi alti, decido di non dare retta alle gambe che tremavano. E allora quel corridoio lo attraverso a testa alta, che nemmeno la Campbell ( con 30 cm in meno, ma questo non si dice) nei tempi migliori.
La signora per bene mi osserva, fin troppo. E allora le lancio un'occhiata, di quelle che in fondo dicono "faresti meglio a pensare a tuo marito, che mi guarda così tanto che nemmeno una trans vaginale".
Lui era impeccabile. Nella sua camicia bianca. Bianchissima. I pantaloni blu, la giacca doppio petto, i gemelli al polsino.
Il cameriere si avvicina e mi fa sedere. Dopo di che arriva in ordine: quello che ci spiega il menù, quello che ci spiega i vini, quello che mi spiega dove mettere la borsa, quello che ci spiega il clima, quello che ci spiega.
Apro il menù (ovviamente senza prezzo) con le mani che mi tremano ed inizio a leggere. Tutti piatti mai sentiti, tutti nomi inpronunciabili. Terrorizzata dallo sbagliare pronuncia, decido di ripiegare sulla scelta più facile: "io prendo quello che prendi te". Pregando, nel frattempo, che non avesse scelto le escargot, altrimenti pretty woman levati proprio, che il lancio più lungo glielo faccio fare io.
Iniziamo a parlare. Lui mi incanta. Per la sapienza e la cultura.
Sapevo che aveva a che fare per vari motivi anche con la politica. E allora prima di uscire mi ero ripassata i nomi dei ministeri e quello dei ministri, con e senza portafoglio. Che se la serata doveva naufragare, non doveva certo essere per colpa del cognome di un fottuto deputato.
Non ricordo molto delle parole pronunciate. Ero troppo impegnata. A mangiare educatamente, a tenere la pancia in dentro, a fingermi interessata anche all'ultima sentenza della cassazione, a sfoderare il mio sorriso migliore.
Mi piaceva. Tanto.
Ma lui non doveva certo capirlo. Che non poteva essere l'intelligenza, il fascino, il bell'abito , l'eleganza e la galanteria a farmi crollare.
Ed allora ho finto. Di essere disinvolta in un ambiente che non conoscevo, di essere un esperta di vino, di essere stabile su dei tacchi 14 pieni di ansia.
Arriva il conto. Che lui ovviamente non guarda, salvo inserire la sua carta oro all'interno del porta conto di pelle nera. Ovviamente con mancia annessa. Per il cuoco, il sottocuoco, il sommelier, la cameriera, il cane del proprietario e per il gatto del facchino.
Non ricordo bene i discorsi di quella sera, ma ricordo esattamente quando è arrivato a prendermi ed io sono uscita.
Chiudo il portone di casa e mi avvio per il vialetto che mi separava dalla sua macchina.
Lo intravedo. Lui non mi aspettava nell'auto, come avevano fatto fino ad allora tutti i maschi che avevo incontrato.
No. Lui era fuori. In piedi. E mi aspettava, in piedi. Accanto alla macchina.
Cioè, amiche, Lui non era seduto a spippolare il cellulare e a cambiare stazione all' auto radio. 
Lui era in piedi. Lui mi aspettava in piedi.
Mi avvicino. E lui allora si dirige verso il lato passeggero, pronto ad aprirmi la portiera.
Lì ho pensato subito alle mie amiche e alla faccia che avrebbero fatto all'indomani all'udir del mio racconto. Ho pensato che le avrei fatte morire d'invidia, perché per una volta quella gran culo di Cenerentola ero io.
Le ho immaginate tutte, davanti a me. Con gli occhi sgranati e la mente sognante. E in quell'istante ho anche sentito esattamente quello che mi avrebbero detto:
"Gazza, a questo dagliela anche se non te la chiede".
E alle amiche, si sa, bisogna dare retta.


Nessun commento:

Posta un commento