lunedì 29 febbraio 2016

Mentre voi esultate per la vittoria di Di Caprio, io godo per quelle di Morricone.
Che non contento di essere già il più grande, con la voce rotta dall'emozione ringrazia e dedica la statuetta alla moglie. Come solo i cuori giganti sanno fare.
Della serie, un omo, decisamente da Oscar.

venerdì 26 febbraio 2016

Io ogni tanto vado su YouTube e me la riguardo questa scena.
Specie quando ricevo da amiche e conoscenti, racconti e considerazioni su attuali incontri d'amore.
Lui Richard Gere, pilota della Marina, bellissimo e dannato.
Incontra la sensuale Paula ed intreccia con lei questa relazione che solo apparentemente non avrebbe dovuto avere nessun risvolto sentimentale.
Un po' come accade a noi....
Sei in un locale, a bere il tuo spritz. Al tavolo vicino il tipo alto, moro, aitante che ti fissa per circa quarantacinque minuti. Poi si alza, si presenta ed ancor prima di aver detto il suo nome ti ammonisce: non sono in cerca di storie serie. Si, perché quanto piacerà a questi uomini mettere le mani avanti. Ed il culo al sicuro.
Così se ti mollano dopo la prima scopata, non puoi neppure dire nulla. Che se lo fai, la risposta è già scritta: io te lo avevo detto che non cercavo impegni.
Ancora non hai alzato gli occhi dal tuo spritz, che già ti propina la storia dell'uomo deluso, uscito da poco da una storia importante e quindi poco incline ai legami stretti.
A parte il fatto che, signori, la filastrocca dell'uomo che non vuole impegnarsi, ve la perdoniamo, forse, a vent'anni. Ma non a quaranta o cinquanta, quando magari avete già i primi problemi di prostata e la storia seria, se aspettate ancora, la stringerete con la badante.
Poi, non è che noi donne dobbiamo per forza sposarci. Magari per una volta ci divertiamo anche noi. Ma non occorre sottolinearlo ancor prima di essersi stretti la mano.
La verità è che noi saremo troppo romantiche ma voi siete spesso dei grandi paraculo. Ed allora io mi guardo Richard Gere. Che non pone limiti alla storia e di quella donna si innamora. Va nella fabbrica dove Paula lavora, la prende in braccio e la porta via.
E quello che rimane non è che per tutto il film il bel Richard è stato Ufficiale.
Quello che ancora oggi ricordiamo è che alla fine, fu davvero Gentiluomo.

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lunedì 22 febbraio 2016

Io sono laureata in giurisprudenza. Ed ho fatto per più di due anni pratica da un avvocato, prima di fare il concorso in banca e divenire un'impiegata del credito.
Ricordo una delle prime udienze a cui assistetti, come praticante. Era una separazione. Consensuale, ma pur sempre separazione. Quando uscimmo dall'aula la moglie, da noi assistita, scoppio' in un pianto dirotto. Mi ricordo che in quell'istante mi giurai che a me nella vita non sarebbe mai dovuto accadere. Due firm...e, in fretta e furia. Un No stringato alla domanda su eventuali possibilità di riconciliazione e nulla più.
Cinque minuti per cancellare una vita.
Cercai di consolare quella signora, e le dissi che il tempo avrebbe asciugato tutto, quelle lacrime e quel dolore.
La vita poi è beffarda, perché ti fa vivere proprio quello che ti eri promessa di evitare.
Quei cinque minuti li ho respirati anche io.
E quando accadde mi dissi che nella vita non bisogna far progetti, perché non sai mai quello che ti riserva.
Ma soprattutto ricordai le lacrime di quella signora. E pensai che in fondo le avevo detto un gran cazzata.
Perché il tempo non le asciuga quelle lacrime.
Quelle restano.
E restano per sempre. Perché quel per sempre lo hai promesso. E le promesse, in qualche modo, non si dimenticano. Mai.

mercoledì 17 febbraio 2016

Ho visto Perfetti Sconosciuti al cinema e non è certo mia intenzione rovinare la sorpresa a chi ancora deve goderne.
Ma la trama pressoché è già nota a tutti.
Una comitiva di amici che durante una cena, decide di fare il gioco del telefono: mettere ognuno in tavola il proprio cellulare e rendere noto agli altri ogni messaggio, notifica, chiamata, che nel corso della serata fosse arrivata.
Inutile sottolineare l'attualità dell'argomento. Così scottante, così veritiero, da risu...ltare tutto reale.
Perché ognuno di noi ha una parte che non svela. Per pudore, per convenienza, per egoismo, per protezione.
Ma quella parte c'è.
Ed è tutta racchiusa li.
Nel messaggio che sostieni di non avere mandato.
Nella chiamata che ti affanni a dire di non avere fatto.
Nella chat di Facebook in cui ti tocchi con un perfetto sconosciuto.
Nei messaggi privati di Twitter, in cui racconti a chi che sia i tuoi problemi.
In quei wathsapp in cui, a seconda dell'evenienza, ti inventi: mamma, amica, amante, santa o puttana.
E non c'entra quanto credi nel tuo rapporto, quanto ami la tua famiglia, o quanto veneri le tue amicizie.
C'è sempre qualcosa di scuro e irrisolto. Di non detto e trattenuto.
Che resta lì. Nella memoria di una sim, che corre affannata a far da concorrente alla tua coscienza.
Invito anche i più coraggiosi, i più puliti a non sfidare gli altri, nè tanto meno se stessi, a questo gioco deleterio.
Tenetelo stretto quel telefono, che sa cose che noi comuni mortali soltanto immaginiamo.
Perché se mi va di mandare in culo il mio datore di lavoro, lasciatemelo fare. Mentre di fronte gli faccio grandi sorrisi.
Perché se mi va di farmi sfilare le mutande da un utente Facebook sconosciuto, per la noia che albeggia nel mio matrimonio, lasciatemelo fare. Mentre cucino la frittata.
Perché se mi va di tentare la strada che ho sempre agognato, a dispetto di tutti, lasciatemelo fare. Senza che quei no diventino patrimonio comune.
C'è che bisognerebbe avere il coraggio di porre un limite alle menzogne che ci raccontiamo.
Ma finché non lo fate, non consegnate l'iPhone. O quanto meno fatelo, solo dopo avere distrutto per sempre la cronologia di wathsapp.
Dite: lo giuro.

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domenica 14 febbraio 2016

SAN VALENTINO

Tra un paio d'ore, più o meno verso l'ora di pranzo, telefonerò a mia mamma. Come ogni giorno. Mi lamenterò delle molte cose da fare, dei compiti dei bambini, dei panni da stirare, del fatto che ad essere sola si dura un sacco di fatica.
Lei mi ascolterà, come sempre.
Sul finire della telefonata, poi mi racconterà, sono certa, che questa mattina il mio babbo si è presentato sulla porta di casa con un mazzo di rose rosse.
Tra la commozione e la sana invidia penserò che uomini ...come mio padre non ce ne sono più.
Ma poi mi ricorderò di una cosa.
Di lei, di mia mamma.
E mi ricorderò che lei, negli ultimi 44 anni, ogni volta in cui lui è rientrato, è stata lì su quella porta ad aspettarlo.
Ci si incontra per caso.
Ma ci si sceglie ogni giorno.
In due.

lunedì 8 febbraio 2016

Oggi all'ora di pranzo mangiavo un panino in una piazza vicino a dove lavoro. Seduta su una panchina, con il mio iPhone ed un giornale di gossip.
Leggevo, quando mi sono soffermata a guardare una mamma che passava di lì col suo bambino. Lei avrà avuto forse trent'anni. Capelli castani, piumino nero e scarpe da ginnastica. Lui, non credo arrivasse ai tre. Cappellino di lana grigio, giubbotto blu ed un piccolo zainetto rosso di topolino che con fierezza portava sulle spalle.
Il... bambino trotterellava sempre qualche passo davanti alla mamma, nonostante lei lo invitasse ripetutamente a darle la mano.
Ad un tratto un salto troppo spavaldo per quelle piccole gambine. Il bambino è caduto. Non si é fatto nulla, si è rialzato subito. Ma è restato male.
Si è voltato a guardare la mamma, quasi a dirle:
- Beh, ancora una volta avevi ragione tu.
Lei si è abbassata, in ginocchio ed ha aperto le braccia.
Il bambino ha cominciato a piangere e le è andato incontro.
Era disperato.
Non sentiva male. No.
Non piangeva per quello.
Piangeva perché voleva che la mamma pensasse che si era fatto male.
Piangeva perché aveva voglia di piangere.
Piangeva perché voleva essere consolato.
Piangeva perché desiderava essere stretto.
Lo ha abbracciato quella mamma. Lo ha abbracciato così forte, come se quel bambino stesse provando il più grande dei dolori.
Lo ha abbracciato per dirgli che lei lo abbraccerà sempre. Ogni volta in cui cadrà.
Lo ha abbracciato per dirgli che potrà piangere con lei ogni volta in cui avrà voglia di farlo.
Ho smesso di leggere.
E in quell'istante ho pensato che io di anni ne ho 39.
Ma che non dovrebbero esserci limiti di tempo o di luogo.
Ed ho pensato che tutti abbiamo diritto ad un abbraccio così. Tutti.

venerdì 5 febbraio 2016

Questa sera avevo un appuntamento molto importante. Di quelli a cui non vorresti mai presentarti, ma che la vita, talvolta, ti mette davanti. Di quelli che sanno di dolore e di ricordi. Di quelli che ti rammentano che gli sbagli non si dimenticano.
Ero in macchina. Ascoltavo la mia canzone. Il fiato corto e il respiro a metà.
Non lo sapeva nessuno dove stavo andando.
Solo due persone.
Mi arriva un messaggio. Di una persona, tanto ma tanto speciale. Una persona con cui ho cond...iviso metà della vita e che gli ultimi tempi ho un po' perso. Una di quelle che la vita ha condannato alla mia stessa sorte. Una di quelle con cui ci siamo scelte una, due, mille volte. Ed i nostri figli, dopo di noi.
Voleva ricordarmi che è molto che non ci vediamo. E che è ora di far qualcosa per colmare questa distanza.
Ero felice.
Col fiato corto, ancora. Ma già un po' più felice.
Continuo a guidare.
Ed arriva una telefonata.
- Ma non sei a casa?
Un' amica che era davanti al mio portone. Con due cioccolatini a cuore al posto degli occhi ed una bottiglia di prosecco. Scampanellava al mio citofono. Giusto per ricordarmi che anche se il giorno prima c'è stata una incomprensione, tra amiche basta un bicchiere per brindarci sopra e riderci forte.
Sono andata al mio appuntamento.
Col fiato corto. Sempre corto.
Ma ancora un po' più felice.
Il mio incontro è durato circa un'ora.
Quando sono uscita ho riacceso il mio iPhone.
Era lei.
L'amica che c'è da una vita. Quella che è stata sempre accanto. Sempre. Nei dolori più atroci. Nelle lacrime più pesanti.
Quella che negli ultimi anni magari senti tre quattro volte al mese, per i tanti impegni di entrambe. Ma che quando abbracci e' sempre come se fosse stato un attimo fa.
Queste persone non sapevano del mio appuntamento.
Del fiato corto e del respiro che mancava.
Non lo sapevano ma in qualche modo lo hanno sentito.
Perché c'è che nell'amore non serve spiegarsi.
Non importa dire del fiato corto e del respiro che manca.
Ci sono persone che già lo sanno.
E sono quelle lì.
Quelle che restano. Nonostante e malgrado.
Perché c'è chi dice di volerti bene. E poi c'è chi lo fa.

giovedì 4 febbraio 2016

LA SCORCIATOIA

Avevo un vestito rosso. Di quelli stretti e fascianti. Di quelli che mi fanno sentire donna tra le donne. Di quelli che ti accarezzano e ti avvolgono. Di quelli che lasciano all'immaginazione tutto ciò che non hai voglia di scoprire. Non so perche quella mattina avevo deciso di indossarlo. Ma sapevo che avrei dovuto indossare proprio quello.
Era tardi.
Il lavoro mi aveva trattenuto in ufficio molto più del previsto....
La stanchezza faceva da contorno alla radio della macchina, che suonava il mio pezzo preferito.
Ad un tratto un rumore.
Ci ho messo un po' a capire se si trattava di un nuovo accordo o di qualcosa di diverso.
Non era la radio.
Non era Adele che improvvisamente stava stonando.
Era la ruota anteriore che aveva deciso che mi fermassi li. Con la mia stanchezza ed il mio vestito rosso.
In quella maledetta scorciatoia che invece di farmi risparmiare cinque minuti, me ne avrebbe fatti perdere almeno venti.
Il telefono scarico e la voglia di piangere.
Ero io. Ed il mio vestito rosso.
Pochi minuti ed è passata una macchina blu. Di quelle belle e importanti. Di quelle che se vedi nei film, non possono che essere guidate dall'avvocato di successo.
La macchina blu si è fermata. Si è aperta la portiera.
Mi aspettavo un uomo maturo in giacca e cravatta. Ed invece è uscito un ragazzo coi jeans e le saucony. Col giubbotto di pelle e i capelli spettinati. Così spettinati che c'era da chiedersi se era appena uscito di palestra o se avesse da poco fatto l'amore.
- Ti aiuto io.
Non mi ha fatto nemmeno parlare.
Ha aperto il cofano. Ha cercato il crick. La ruota di scorta. Ha fatto tutto lui. Come se fino a quel momento nella sua vita non avesse fatto altro che cambiare gomme.
Io non ho detto niente.
Ero incantata e sedotta.
Dalla sua padronanza.
Dal suo essere lì. Ai miei piedi.
Finito il suo lavoro, si è alzato.
Mi ha guardato ed ha detto tutto. Così. In silenzio.
+ Beh. Che posso fare per ringraziarti?
Ancora una volta non ha detto nulla.
Ha messo una mano tra i miei riccioli. Si è avvicinato ed ha annusato il mio profumo.
Mi ha spinto.
Verso la sua macchina. Quella blu.
Adesso ero io appoggiata al cofano.
Mi ha messo una mano tra le gambe. E lo ha fatto come se conoscesse alla perfezione ogni curva del mio corpo.
Ho sentito le calze smagliarsi.
Ho sentito la sua lingua cercarmi con vigore.
Lo volevo.
Mi voleva.
Eravamo noi.
La sua macchina blu.
Ed il mio vestito rosso.
Finalmente avevo capito perché lo avevo indossato.
Io, quella mattina, lo avevo indossato per lui.
Altro...