sabato 28 novembre 2015

Me la ricordo bene la prima volta che mi sono innamorata. Ma non per gioco. La prima volta che mi sono innamorata forte. Così forte da non essere corrisposta.
Avevo diciassette anni, lui qualcuno più di me.
Frequentavamo lo stesso ritrovo, anche se io nel gruppo dei piccoli e lui in quello dei grandi.
Non era libero. Aveva una ragazzina, già da un paio di anni.
Eravamo conoscenti, poi diventammo amici, poi qualcosa in più.
Almeno per me.
Al pomeriggio studiavo e verso le 18 uscivo con le amiche fidate per andare nel posto di ritrovo.
Mi sedevo sul muretto ad aspettare che lui facesse capolino, anche solo per pochi istanti, dopo il lavoro.
Arrivava con la sua macchina e già questo mi pareva un segno di potenza e di virilità non indifferente
I saluti, prima schivi, divennero sempre più affettuosi.
I ciao sfuggenti divennero ben presto lunghe chiacchierate.
Io lo amavo. Sempre più.
Lui ovviamente era in crisi con la fidanzata.
Io lo ascoltavo. E ascoltavo i problemi con lei, con il lavoro, con i genitori, col gatto, con lo zio, col cognato del cugino.
Non gli ero indifferente, ma stava con un'altra.
E allora succedeva che il lunedì mi dava una speranza per il mercoledì ritrattarla.
Ma io ci credevo. Perché avevo 17 anni, ed a 17 anni tutto può succedere.
Continuavo pertanto ad amarlo. E ad aspettarlo seduta su quel muretto.
Ricordo esattamente la notte della vigilia di Natale di quell'anno. Mi aveva promesso che la sera sarebbe passato dal nostro ritrovo per scambiarsi i regali.
Lo aspettai al freddo.
Col mio pensiero impacchettato e il cuore colmo di aspettative. Lo aspettai fino alle 24.00. Ritardai anche il rientro a casa.
Ma lui non si presentò.
Trascorsi il giorno dopo, il 25 dicembre, a piangere.
Lo ricordo benissimo.
I parenti a pranzo, i tortellini in brodo, il lesso, l'arrosto, il panettone e la frutta secca. Io che mi alzai nel bel mezzo del Natale per chiudermi in camera mia. Quanto piansi.
Abbracciata a mia mamma prima e a mia zia dopo.
E giuro che sembra ora da quanto fece male.
Lo vidi poi il giorno dopo, per Santo Stefano. Mi portó il suo regalo. Una sciarpa, non era neppure incartata. Io avevo invece comprato il nastro e la carta più bella, per confezionare quel peluche da attaccare alla sua macchina. Avevo scritto anche un biglietto di 1460 caratteri. E lui neppure un post it con su uno stringato Buon Natale.
I mesi continuarono così.
Io seduta sul muretto.
Lui a volte c'era. A volte no.
Arrivó giugno ed il mio 18esimo compleanno. Feci una festa meravigliosa in una villa in campagna. Io ero bella e giovane. In un vestito bianco che avevo disegnato e che la mamma di una mia amica aveva cucito per me.
Tanta gente, tanti amici.
Lui arrivó a festa inoltrata, con gli altri quattro ragazzi con cui faceva squadra fissa.
Era finalmente tutto perfetto.
C'era lui, c'erano le amiche, i miei genitori, e la voglia di vivere dei miei 18 anni.
Quando finì la festa, presi mia mamma da una parte.
- Ehi, lo hai visto Lorenzo? - chiesi.
- Si - mi rispose subito.
Poi aggiunse:
- Quando è arrivato c'era anche il babbo, che ha dato la mano a tutti gli altri ragazzi per presentarsi tranne che a lui -
- E perché ha fatto così? domandai io.
- Beh - rispose la mamma.
- Tuo babbo me lo ha spiegato in questo modo:
"L'ha fatta piangere troppe volte perché io potessi anche solo salutarlo".
Da allora non l'ho più aspettato seduta su quel muretto.
Perché all'alba dei miei 18 anni, ho capito l'amore.
Ed ho capito come si comporta un uomo,quando davvero ti ama.
Non sopporta, che tu pianga.

mercoledì 25 novembre 2015

Torno a casa alle sette, da stamani alle otto.
Le solite dieci cartelle sulla spalla, le buste della spesa, il cane da portar fuori, i letti da rifare.
Ma non importa.
Metto a posto la spesa, porto fuori il cane, rifaccio il letto, metto il pigiama ai bambini.
Mi tolgo il décolleté che dopo 12 ore ho dei calli che sembrano un bambino di tre mesi. Indosso la tuta ed inizio a cucinare. Roba veloce, per far sì che questi figlioli possano cenare ad un'ora decente....
Mi butto sulle crocchette di pollo, sperando di imitare Mc Donald ma convinta del fatto che al primo assaggio loro mi diranno: Mamma quelle del Mc sono meglio.
Apparecchio, friggo e intanto preparo le cartelle per domattina.
Ore 20.10 tutti a tavola.
Ecco. Finalmente mi siedo.
Addento le mie crocchette, una patatina e due foglie di insalata.
Ma non conta cosa sto mangiando.
Conta che sono seduta.
E la sensazione è come quella di trovarsi alle Maldive, su una spiaggia bianca, con due che ti sventolano ed una che ti massaggia i piedi.
Sono a sedere. E già penso al pigiama caldo che sto per indossare, al divano, alla TV, al piumone ed al cuscino.
Ma in dieci minuti la cena finisce.
Ed ecco che sopraggiunge il momento più tragico della giornata. Doversi alzare di nuovo. Svuotare i piatti, affrontare l'olio, l'unto e gli avanzi. Le briciole, i piatti sporchi, il piano cottura infrittellato e i sacchi della nettezza che puntualmente si rovesciano.
E improvvisamente dalle Maldive ti pare di essere a Ladispoli.
Perché il problema non sono le 12 ore dalle otto alle otto. No.
Il problema l'è sparecchiare dopo che t'hai toccato una sedia.
E non è finita.
Perché a questo punto sopravviene il pensiero definitivo, quello che ti uccide del tutto.
E ti ricordi che hai la lavastoviglie guasta. Quella che ancora non hai fatto accomodare per risparmiare quel cinquantino che ti ci vorrà solo perchè qualcuno si degni di venire a vedere i' che l'ha fatto la tua lavapiatti.
Ora. Io capisco che posso stare più o meno simpatica. Ma che sia un mese e mezzo che rigoverno e ancora non sia stato avviato una processo di canonizzazione per la Gazza, lo trovo decisamente da stronzi.

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lunedì 23 novembre 2015

Qualche giorno fa, era tardo pomeriggio, stavo guardando la vetrina di un negozio in attesa che mia figlia finisse la sua lezione di pattinaggio.
Mi si avvicina un tipo. Un bel tipo.
Completo grigio scuro, camicia celeste con le cifre, pashmina blu.
Mi sorride:
+ Scusa, sei sola?...
Già l'approccio mi era parso subito parecchio triste, ma mi son detta che in fondo dovevo apprezzare. Che dallo "scusa hai da accendere" già aveva fatto progressi.
Rispondo:
- Beh, salvo che qualcuno non mi stia pedinando, direi di sì.
Accenna un sorriso e parte subito con una serie di complimenti (della serie sei carina etc etc) senza cavalcare la mia ironia. Ma ok. Mi dico ancora una volta di non giudicare.
Ci scambiamo qualche parola ma capisco che il tempo stringe e che devo andare a prendere Vittoria.
Glielo faccio presente.
Apre la sua bellissima borsa di pelle da lavoro ed estrae l'apposito porta biglietti da visita in pendant con tutto il resto.
Il Dottor X mi porge i suoi contatti e mi dice, scostandosi dalla fronte il ciuffo phonato e gettando uno sguardo furtivo, all'auto stima finalizzato, al proprio riflesso nella vetrina:
+ Qui c'è il mio numero, se una di queste sere ti va un birrino?
Spalanco gli occhi!
(Un birrino?? Mi ripeto tra me e me. Ma che sono un tuo amico? Perché non si va al primo circolo? E poi dopo i' che si fa? Una briscola!?)
Ma semplicemente rispondo:
- Grazie, nel caso ti chiamo.
Ho girato l'angolo e gettato il biglietto.
Oggi, invece, sono uscita alla 13 da lavoro. Ho mangiato un panino al volo in macchina e mentre stavo rientrando, mi sono fermata ad un bar lungo il tragitto.
Proprio accanto al bar, un palazzo di circa 4 piani dove, con tutta evidenza, erano in atto i lavori di ristrutturazione della facciata.
Esattamente quando stavo entrando nel bar, arriva un ragazzo. Un muratore che probabilmente si stava prendendo una pausa e che stava lavorando alla suddetta facciata. Jeans strappati, felpa, scarpa antinfortunistica e qualche schizzo di calcina in qua e là.
Mi vede ed accelera il passo. Solo per aprirmi la porta e farmi entrare per prima.
+ Prego signora.
E mentre lo dice mi guarda. E mi guarda così intensamente quasi a volermi dire: se ti prendo ti metto su quell'impalcatura e ti fo vedere la Madonna e tutti i Santi. Lo capisco. Ma lui è galante.
Prendo il mio caffè, in disparte. Arrivo a pagare e il cassiere mi fa:
+ il caffè lo ha già pagato quel ragazzo lì.
Era lui. Che era appena uscito.
Esco e lo ringrazio. Poi scappo e scappo perché la mia vita è una corsa.
Ma l'ho ringraziato mille volte. E mentre lo facevo ho ripensato al Dottor X.
E mi son detta che è proprio vero, amiche mie.
È assolutamente vero.
Ed è vero che l'abito non fa il monaco, né, tantomeno, il maschio.

sabato 21 novembre 2015

La cosa bella di quando esci con le amiche e sono le amiche giuste, è che non importa dove vai. Puoi azzeccare la festa più glamour del momento e relazionarti col tipo col risvoltino, l'orologio sul polsino e il Dom Perignon in tasca. Oppure finire nel circolo di campagna, dove il più fine ti invita a ballare dopo essersi pulito il pomodoro della pizza rimasta sulla bocca con la manica del golf.
Non importa perché il momento top della serata sarà sempre quando risalirete in m...acchina.
Stanche, un po' brille, ma felici. Perché in macchina maturerà la sola parte esilarante della serata. Perché ci sarà da ridire e da ridere. Del miliardario chic, del grezzotto rutto libero, della fidanzata di quello moro, della cameriera, del proprietario del ristorante, del cane del vicino di tavolo.
E li, tu con le tue amiche darai il meglio di te.
E ti lascerai andare a riflessioni sulla pace nel mondo, per un attimo dopo, pensare alla scopata più riuscita dell'ultimo periodo.
Roba che nemmeno cinque uomini a briscola alla casa del popolo.
Ma così funziona.
Perché tutto resterà in quella macchina.
Le lacrime, le risate, le parolacce, le confessioni.
Poi scenderai. Rientrerai a casa. Ti metterai il pigiama. E già penserai alla Valle D'Aosta che dovrai studiare il giorno dopo con tuo figlio. Ma con una certezza. Che in fondo pure quella, dopo la tua serata in macchina, ti sembrerà più bella.

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martedì 17 novembre 2015

L'ho anche frequentato per un periodo, uno tutto muscoli e addominali. Uno di quelli che quando ci sedevamo al ristorante faceva il conto delle calorie che gli mancavano da ingurgitare per completare il percorso ottimale segnato dal personale trainer. Uno di quelli che ordinava un filetto scondito. E che quando esordivo con la mia carbonara, mi guardava come se avessi arrotato un pedone sulle strisce.
"Ma sulla sera è troppo pesa?".
Così mi disse, e io ripiegai con un finto s...orriso su di un'ottima caprese.
Uno di quelli che poi, quando arrivi al dopo cena, ti toglie il vestito, lo ripiega, lo appoggia sull'appendino e volendo ci passa anche un po' di Stira e ammira.
Fu drammatica la serata e la ricordo ancora. La ricordo così tanto che da allora sono stata molto più accorta. Ho capito che un uomo (come una donna del resto) lo si capisce e lo si conosce a tavola.
Uno che ti ordina una bistecca con l'osso e magari ci sorseggia un brunello e quando ti versa il vino ti guarda negli occhi. Poi taglia il primo pezzo di Fiorentina e ti guarda ancora. E mica ti guarda. Ti spoglia. E ti spoglia mentre mastica e gode. Per il piacere della carne, per il sapore del rosso.
Uno che si siede e si ordina un'amatriciana. E alla prima forchettata ti fa il piedino, quasi a dirti "cazzo, ora ti metto al posto della pancetta".
Uno che si prende un tiramisù, e col cucchiaino ti imbocca, lasciando a te il pavesino più buono.
Uno che a tavola gode. E gode perché mangia e perché mentre mangia ti guarda.
E non vale solo per gli uomini. No la tavola è unisex.
Ma che son donne quelle che si siedono ed ordinano un'insalata? Ma che son donne quelle che guardano ad un pezzo di salame come se fosse un testimone di Geova? No, che non lo sono. E sono quelle che se poi ti invitano per un drink nella loro casa dopo cena, sull'uscio ti fanno levare le scarpe e ti infilano le pattine.
Le donne sexy sono altre. Sono quelle che un bicchiere di vino lo gustano e una pastasciutta la seducono.
Ricordo una scena, del film Flashdance. Lei un'operaia, lui il grande capo. La prima cena. Lei si toglie la giacca mostrando una schiena che vabbè. Si arriva fino lì. Ma poi inizia a mangiare aragosta. Con le mani. E si lecca pure le dita. Ma lo fa con una grazia, con una eleganza con una sensualità, che lui era già andato, era suo, che nemmeno quando lei ballava mezza nuda nel night.
Perché il buon cibo è come il buon sesso. E non c'è l'uno senza l'altro.
Ed io se parlo degli uomini, è perché donna sono.
E allora dico che va bene il romanticismo, la canzone ed il tramonto. Ma quando c'è da amare, come da mangiare, il maschio deve essere maschio.
E deve essere quello che ordina l'amatriciana e il vino rosso.
Perché poi noi donne siamo così. E ci piace essere prese così. Con passione con forza ed impeto. Con voglia ed irruenza. Così come si agguanta e si gusta un pezzo di rosticciana. Con le mani, mica con la forchetta.

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sabato 31 ottobre 2015


Sono da poco rientrata dal supermercato.
Non so se avete tutti presente il supermercato di sabato mattina. Ecco.
Pensionati incazzati che si aggirano pretenziosi tra gli scaffali di turno e ti guardano con aria di sfida quasi a non comprendere perché tu, che lavori, hai due figli, un cane e due pesci, ti permetti di fare la spesa di sabato mattina.
Donne in carriera che, super taccate, si ritagliano la loro mezz'ora settimanale per comprare almeno due fette di petto di tacchi...no per far compagnia alla solitudine del frigo.
Uomini, scoglionati, parcheggiati assieme al carrello in un angolo mentre la rispettiva compagna fa lo slalom tra la gente per ottimizzare il tempo.
Bambini urlanti e affamati che non comprendono il perché di trovarsi lì, anziché sullo scivolo di un parco giochi.
Ora, in tutto questo bordello, la mia attenzione è stata colpita da una coppia. Felice, tranquilla, serena.
Coppia che ho incontrato in mezzo agli insaccati.
Lui, lei e 5 figli.
Non uno, non due, guardate non tre. Ma cinque.
All'incirca dai due ai 13 anni.
Il padre e la madre entrambi con un carrello. I due figli più grandi, maschio e femmina, rispettivamente accanto all'uno o l'altro genitore. I due più piccoli, presumibilmente gemelli, nel carrello. Uno col ciuccio, l'altro con un pezzo di schiacciata. Il rimanente in piedi nel bel mezzo del carrello che giocava a fare spiderman.
Sono rimasta così, a bocca aperta e coi miei tre etti di salame in mano, ad osservarli. Ed in un attimo ho visto davanti a me. Cinque cartelle, cinque letti, cinque paia di scarpe, cinque tutto.
Per non parlare del mangiare. Sette tazze, sette piatti di pasta, sette braciole. Io che pensavo che solo Biancaneve fosse in grado di mettere a tavola sette persone, sono restata sbalordita.
Loro invece, loro sette dico, sorridenti e felici, si districavano. Tra la richiesta di un figlio, tra il prosciutto da scegliere, tra il pensionato incazzato, tra il naso da soffiare al più piccolo e la bocca da pulire al gemello.
Ho pensato che questo non fosse possibile. E allora l'ho seguiti. E l'ho seguiti fino al reparto surgelati, dove moglie e marito, lui con i quattro salti in padella in mano e lei coi sofficini sotto il braccio, in mezzo alla donna in carriera taccata, ai mariti scoglionati, ai bambini isterici, a chi lavora 24 ore, alle donne che fanno slalom tra gli scaffali, con i loro cinque figli perfettamente allineati, si sono avvicinati e si sono dati un bacio.
Cioè, in un sabato alle 12 in un supermercato, tra il delirio generale, loro due con cinque figli hanno trovato il tempo di darsi un bacio.
Ora, le cose sono due.
O propongo l'immediata candidatura dei due coniugi al prossimo Nobel per la pace, o mi dicono, all'istante, il nome del loro spacciatore.

domenica 20 settembre 2015

Ti svegli la domenica mattina.
Con i capelli ritti e le occhiaie fino al mento. Perché la notte l'hai passata a dar tachipirina al figlioletto di nove anni.
Ti alzi di soprassalto perché l'altra figliola, quella di sette, ti urla che ha fame e devi prepararle la colazione.
Nel frattempo pensi che devi ottimizzare il tempo e che in tutto questo c'è anche il cane da portar fuori, perché ti sta guardando con una faccia come a dirti "ascolta, io ho rispetto del tuo pavimento in cotto, ma dopo 15 ore anche la mia vescica inizia a vacillare".
Allora ti togli la sottoveste e ti infili un vestito di quelli scoloriti e un po' sciupati, quelli che la mi' mamma ha sempre chiamato "da casa".
Indossi l'occhiale più grande che hai, sperando che copra la cispa ancora rimasta.
Calzi la tua ciabatta De Fonseca e ti dici: "ma si, io esco così, tanto chi vuoi che incontri".
Ecco.
Superi il portone e in ordine arriva:
- Il tuo ex storico, quello che ti ha fatto piangere e dannare. Con la nuova fiamma. In louboutin e shatush, di circa 18 anni più giovane di te.
- Enzo Miccio che ti guarda schifato.
- Il postino di C'è Posta per Te, che chiude direttamente la busta.

E allora buongiorno??
Buongiorno una sega.

venerdì 18 settembre 2015

DEL GIGLIO

È vero.
Siamo chiusi e talvolta anche un po' snob. Perché se nasci e cresci all'ombra della Cupola del Brunelleschi ti vien da pensare che il centro del mondo stia proprio nella strada che stai calpestando.
Siamo altezzosi e un po' boriosi, perché in fondo siamo ancora convinti che la capitale d'Italia sia sempre qui.
Ma siamo anche comici, brillanti e assai vivaci.
Con quella C che non esiste e che in fondo fa impazzire ogni dialetto....
Perché a noi le cose non ci piacciono, a noi le ci garbano.
Perché noi non ti chiediamo dove stai andando, noi diciamo indo' tu vai.
Per noi sei grullo e anche un po' bischero. E se ti si dice è perché di bene te ne vogliam di molto.
Camminiamo per Santa Maria del Fiore e ci affacciamo dal Campanile di Giotto.
È nostra la Galleria degli Uffizi. E tu ci arrivi passando da Piazza della Signoria. Con Palazzo Vecchio, la Loggia dei Lanzi e la fontana del Biancone.
Il Ponte Vecchio e le sue botteghe.
Piazza santa croce e Santa Maria Novella.
Il Piazzale Michelangelo con la statua del David e il Giardin di Boboli.
Per poi finire nell'Oltrarno coi suoi negozi e mercatini. Il quartiere di San Frediano, la Chiesa di Santo Spirito e Palazzo Pitti.
La bistecca e il vino rosso.
La pappa al pomodoro e la ribollita.
La primavera alle Cascine e le serate chiusi in casa a guardare la Viola.
La patria di Petrarca, del Boccaccio e sopra tutto del Sommo Poeta. Che ebbe a citarci tanto nell'Inferno, quanto nel Paradiso, passando dal Purgatorio.
L'italiano che nasce da questo nostro volgare trecentesco.
E poi ancora avanti per finire alle risate.
A quel genio di Monicelli alla supercazzola prematurata, per poi sostare nell'immortale zingarata.
Ma in cima a tutto, sopra tutto, questo nostro Lungarno. Con le luci e le immagini riflesse.
Con la pace e il rumore della brezza.
Perché ancora oggi, e te lo giuro, se tu mi baci qui, è come far l'amore.
Che gioia, Firenze, essere tua.

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mercoledì 9 settembre 2015

AMARSI



È facile innamorarsi nella mancanza.
Quando una persona diventa il sostegno di cui hai bisogno.
Il rimedio alla solitudine....
Il coraggio nella paura.
Quando nel bel mezzo di una vita incasinata, arriva chi mette a posto ogni disordine ormai consumato.
Quando nell'insicurezza, c'è chi riempie di complimenti la tua autostima.
È facile. Si.
Ma non so se questo è amore.
Amare per soddisfare un bisogno è solo offrire un' alternativa al niente.
E allora non vorrei essere amata.
Ma vorrei semplicemente essere quello che ti manca.
Quando non ti manca niente. Niente, tranne me.

IL SEPARATO IN CASA



A tutte almeno una volta nella vita è successo di incontrare il separato in casa.
Dicesi separato in casa colui che è bello, intelligente, simpatico e ti spezzerà il cuore.
Il separato in casa lo incontri al bar la mattina a fare colazione.
Prende un caffè veloce prima di entrare in ufficio. È sempre ben vestito ed entrando saluta tutti con un sorriso che sembra si sia fatto la pulizia dei denti un quarto d'ora prima.
Mattina dopo mattina inizia a fissarti mentre sorseggia il suo caffè.
Poi, dopo il terzo giorno, troverà una scusa per avvicinarsi. La scusa sarà tra le più banali, ma lui sa come muoversi e a te sembrerà intelligentissima.
Ti dirà che ti aveva notata dal primo giorno, che hai degli occhi magnetici e che gli piacerebbe conoscerti meglio.
Senza pretese, ovviamente.
Vi scambierete i numeri di telefono.
Tu gli darai il tuo.
Lui ti darà quello della seconda scheda SIM.
La famosa scheda delle amanti. Quella che è in funzione dal lunedì al venerdì in orari di ufficio.
Appena salutata ti arriverà il primo messaggio con scritto: "sei bellissima".
Seguirà dopo poche ore la prima telefonata.
In cui il soggetto in questione, inspiegabilmente, si aprirà con te come se tu fossi il suo padre confessore.
E inizierà col dirti che, sì, è sposato, ma ormai con la moglie è finita da un pezzo. Che di sente solo e trascurato. Che ha capito che lei non è la donna per lui. Perché in fondo, anche se ci ha comprato una casa da tre milioni di euro, ci ha fatto due figli, ci ha preso sei cani, un gatto e quattro tartarughe, non si è mai sentito intellettualmente vicino a lei. Non c'è mai stata quella sensazione a pelle che invece c'è con te.
Ti dirà che è separato in casa, in attesa di trovare una sistemazione ed il modo migliore per comunicare la triste decisione ai figli. Ma che il suo cuore è ormai libero ed in grado di riniziare ad amare una nuova persona.
Seguirà invito per aperitivo.
Che non si protrarrà più tardi delle otto di sera, perché lui deve rientrare a casa. Ma non per la moglie, bensì per il figlio più piccolo che riesce a cenare solo se è lui ad imboccarlo.
I giorni seguenti saranno mazzi di rose, buongiorni al mattino, e dolce notti alla sera.
Il vostro primo incontro di sesso si terrà in un albergo ad ore. Di quelli sperduti e in cui i titolari non chiedono i documenti. Di quelli che lui ti dirrà aver casualmente trovato su internet. Salvo poi vederlo entrare e muoversi con la stessa disinvoltura di Cesara Bonamici negli studi del Tg 5.
Questo ovviamente se il separato in casa in questione ha una situazione economica per così dire normale.
Perché se è invece un uomo facoltoso, ti porterà in un appartamento alla periferia della città, che ti dirà essere il suo rifugio per leggere, per scrivere, per ritrovare se stesso.
Sul campanello il nome del precedente proprietario. Perché scriverci "scannatoio", pareva brutto.
Qui, prima di copulare, ti ripeterà ancora una volta di quanto si sente separato in casa. Inadeguato e disadattato accanto ad una donna come sua moglie.
La lunghezza della storia tra voi dipenderà da tre fattori:
1) quanto sei capace a letto
2) quanto impiegherai a mettere in dubbio le sue parole
3) quando inizierai ad avanzare pretese.
Al non realizzarsi della prima, o al verificarsi di una delle altre due, ecco che il separato in casa ti chiamerà.
Ti dirà che ti ama e lo farà per sempre.
Ma che sua moglie ha:
A) minacciato di uccidersi se dovesse lasciarla.
B) scoperto di avere una malattia terminale.
E che pertanto, malgrado tutto, lui ha deciso di soffocare i propri sentimenti per te. Perché questo è il momento in cui un uomo deve dimostrare il suo valore.
Ed allora, seppur a malincuore, resterà con lei. Nella casa da tre milioni di euro. Con i due figli, i sei cani, il gatto e le quattro tartarughe.

martedì 8 settembre 2015

LA LUCE


Io la prima volta, che iniziata la mia nuova vita a tre (io e i miei figli), nella nuova casa mi saltò  la corrente, rimasi di sasso. I bambini erano già in pigiama, vista l'ora tarda, ed io pure. Quando presi in affitto quella casa non mi ero certo domandata dove fosse il contatore della luce. E non perché mi sembrava una domanda stupida, ma perché io pensavo alle tende da mettere. Ragionai per un attimo e poi l'illuminazione: probabilmente, come in tutti i condomini, si trovava al piano terra.
Presi i bambini, che non volevano saperne di restare soli e scesi.
Mi trovai di fronte una specie di mega armadio, che aperto, come per magia, presentava tutti i contatori del 12 appartamenti del condominio. Ognuno era contraddistinto dal cognome del proprietario dell'appartamento, ma in quei momenti si sa, si fatica pure a ricordare quale sia il proprio.
Pensai che quelle cose le aveva sempre fatte mio marito e che pertanto non sarei stata in grado di cavarmela. Invece, individuato il contatore, tirai su la levetta e sentimmo dalla porta dell'appartamento, rigorosamente lasciata spalancata, il riattivarsi della vita. La televisione, il Phon, la lavatrice, la lavastoviglie ed il frullatore.
Esultai. E a seguire lo fecero anche i miei bambini, che nel vedermi tanto soddisfatta, esplosero nel più sincero degli applausi.
In quel momento capii che in fondo un uomo non era necessario. Perché ero donna, con due bimbi e sapevo rimettere la luce.
Non mi mancava più nulla.

lunedì 7 settembre 2015

Ora perché non sono un metro e ottanta, non scopo con un calciatore e non sono amica di Maria De Filippi, che non abbia nemmeno un paparazzo, anche con la polaroid, alle calcagna, non lo trovo giusto.
Uno scatto (sfocato perché si sa, dopo duecento clic la mia amica non ne poteva più), la scorsa estate a Formentera.
Tanto per dire che questa cosa che le foto di Belen prendono più like delle mie, deve finire.



domenica 6 settembre 2015

LA COLLA

Essere una donna sola che significa?
Significa essere pronta per uscire a cena e rendersi conto che dalla scarpa che volevi indossare si è staccata la suola.
Scartare a priori l'idea di cambiare scarpa, perché se hai deciso per quella, quella deve essere.
Che poi, se no, devi cambiare vestito, orecchini, borsa e mutande. Perché a caso, non c'è nulla. Che ve lo dico a fare.
Decidere allora di provare a riattaccarla con la colla. Trovare per caso un tubetto di attak, che se non era del '15, la seconda guerra l'ha vista di sicuro.
Rendersi conto di non riuscire ad aprirlo e allora pensare di tagliarlo a metà con le forbici.
Accorgersi della colla che come un fiume in piena finisce sulle tue mani, gel munite e fresche di smalto e Swarovski fatti proprio ieri.
Ritrovarsi quindi: senza scarpe e con le mani incollate.
E rendersi conto amiche (e qui so che ben mi capirete) che è tutta colpa dell'uomo.
Perché se ce lo avessi avuto, di sicuro, nel rincollarle non mi avrebbe accontentata.
E io che invece non ce l'ho, se mi legge, che si penta.
E si penta amaramente per non avermi ancora cercata, trovata e sedotta.
Perché, per colpa sua, io, stasera, ho fatto un gran casino.

GLI OCCHI DI TOMMY

Vorrei un uomo che mi ama come mi ama mio figlio.
Con la stessa forza, la stessa passione e la stessa intensità. Con la voglia di proteggermi e di non lasciarmi andare.
Qualche mese fa accadde questo.
Era domenica pomeriggio, circa le 18.
I bambini avevano passato il weekend col babbo e stavano tornando.
Suonarono il campanello, a gran voce gridarono "mammaaaaaaa.....siamo noi!!".
Aprii allora il portone.
Io abito al quarto piano di un condominio.
Sentii chiamare l'ascensore, ma allo stesso tempo un gran rumore di qualcuno che stava salendo le scale decisamente a corsa. In meno di venti secondi vidi arrivare Tommy al fatidico quarto piano. Aveva anche un po' di fiatone.
Gli chiesi:
"Tommy, ma che hai fatto?".
Lui, mi guardó, dette un'occhiata furtiva all'interno dell'appartamento e tirando un sospiro di sollievo, mi disse:
"Niente, mamma. È che quando hai aperto il portone, gli ho detto al babbo. Facciamo una cosa: tu vai in ascensore, ed io vado per le scale. Così se la mamma fosse con un fidanzato, in qualche modo lo blocchiamo".
Lo strinsi.
Forte.
A me.
Questa foto è dell'estate appena trascorsa.
Avevo il telefonino, l' ho chiamato:
"Tommy girati che ti faccio una foto".
Lui si è voltato. In questo modo.
E in quel preciso istante mi son detta che potevo pure smettere di cercare, che tanto uno che mi guarda così, non lo troverò mai.

giovedì 3 settembre 2015

FEMMINA

Si può pure nascere donna, ma essere femmina è tutta un'altra cosa.
Non importa se indossi un Valentino da 3 mila euro e al braccio porti una Miu Miu da 2300, se poi quando cammini sembri il pizzicagnolo di Zagarolo ( con tutta la stima per il pizzicagnolo e per Zagarolo).
Perché una donna cammina, una femmina, sfila. E lo fa come se fosse la cosa più naturale al mondo. Come se anche l'abito del mercato preso a saldo, fosse il modello di punta di Giorgio Armani.
La femmina difficilmente si trucca pesante. Perché il trucco peso non è delle femmine,è dei troioni. A volte basta un lucida labbra, su un carnato abbronzato. Di quelli che fanno effetto bagnato, di quelli che sembrano impreziositi da Swarovski da quanto vanno dritti al punto.
Una femmina non abbassa lo sguardo. Ma è fiera ed orgogliosa. Anche con qualche chilo in più o dieci cm in meno. Ti guarda dritto negli occhi, salvo davanti ad un complimento. Perché a quel punto lo sguardo lo abbassa e le guance arrossiscono. Perché una femmina inconsapevole non lo sa. Ma è proprio il pudore la forma più alta di sensualità.
È adeguata è mai fuori luogo. Anche se pronuncia un "cazzo", nella serata più cool dell'estate o al tavolo più in del momento. Perché lo dice col sorriso e poi si morde il labbro. E non importa ciò che ha detto. Chi se lo ricorda più.
Essere donne è una fortuna.
Ma riuscire a fare le femmine è un enorme privilegio.
Lascio una foto, di qualche anno fa.
Lei è mia figlia, ancora non aveva quattro anni.
Era sera, circa le 20.
Io a gran voce la chiamai, perché la cena era pronta. E lei, con grande nonchalance si presentò così. Si sedette ed afferrò una fetta di prosciutto. E lo fece con tanta grazia e sicurezza. Perché lei in quegli abiti si sentiva sicura. E si sentiva così tanto, che convinse anche me.
Lei era femmina.
Una bellissima femmina.
Mi guardai i piedi.
Ero io fuori luogo.
Forse era il caso di cambiare le ciabatte.

mercoledì 2 settembre 2015

SIAMO TUTTE UN PO' CANDY

Per chi, come me, è cresciuta guardando Candy Candy, l'amore è risultato da subito abbastanza chiaro.
Da una parte Anthony, nobile, aristocratico, d'animo gentile. Amante e coltivatore delle rose, tanto da intitolarla una all'amata biondina dalle code buffe. Vissuto nell'agio e nella ricchezza, corteggia con modi dolci e sopraffini. Ma la sorte dispettosa vuole che se ne vada, ancor prima di aver provato l'ebrezza di una leggera tastata di sedere.
Dall'altra Terence. Moro, oc
chio scuro. Insolente ed impertinente. Incontra Candy sulla nave da crociera che porta entrambi dagli Stati Uniti all'Inghilterra. Da lì una serie di coincidenze, fortuite e create, alimenteranno questa passione scandita da screzi e litigate.
Terence è l'emblema dell'uomo di cui ancora oggi ci innamoriamo.
Irriverente e dispettoso. Un momento c'è, l'altro sparisce. Ma quando c'e, come e quanto c'è.
Parla poco dei propri sentimenti, ma quando lo fa ti inchioda con le sue parole. Ti colpisce e ti scolpisce tanto da restare lì, per i giorni successivi, a pensare solo al l'intonazione con cui le ha pronunciate.
La chiama "Signorina tutta lentiggini" e la fa arrabbiare di brutto.
Ma quando la prende, la cinge dalla vita e non lascia spazio a respiri.
C'è un momento in cui Terence dice tutto, pur non dicendo niente.
La ex storica di Terence ha un incidente. Candy va a trovarla all'ospedale e capisce che la soluzione migliore è quella di lasciarla con l'uomo che da sempre ama.
Ma Terence arriva. Proprio quando lei sta andando via.
Candy gli chiedi di lasciarla e si precipita giù per le scale.
Lui la rincorre.
La raggiunge.
E la cinge. Da dietro.
(E diciamocelo, secondo me glielo appoggia pure).
Ecco, in quel gesto c'è tutto l'amore possibile.
In un'era in cui siamo abituati a rimandare tutto al domani, o a lasciare le proprie intenzioni ad un whatsapp , pensiamo a Terence.
Che non la lascia andar via e poi prende un cellulare mandando un sms con scritto "mi manchi".
No.
La blocca.
La blocca da dietro.
Quasi a dirle "ma dove cazzo vai!!".
Quasi a sussurrarle:
"Ora scopami!".
E poi??
"Poi, ti spiego".
E, amiche, se uno così l'ha trovato Candy, con quei capelli di merda, Cristo Santo, lo possiamo trovare tutte.






lunedì 31 agosto 2015

L'AMORE SOCIAL


Mi sono imbattuta nella sua pic per caso. Forse un retweet, o forse una stellina messa da qualcuno che già seguivo. Si' perché Twitter per questo è ancora più immediato e spietato. 140 caratteri, e neppure un respiro in più. Ma bastano. Per perdersi in una foto profilo in cui non c'è nulla, ma per un attimo inizi a vederci tutto.
È un attimo davvero. E cominciamo con lo scriverci. Che poi Dio perché mi hai dato questo dono? Forse l'essere diretta, impulsiva e un po' pungente. Così tanto da arrivare subito, pure a lui.
Io mi chiamo Sara. E tu? Già lo sapevo, ma scritto da lui sembrava più bello.
I giorni seguenti erano risvegli al mattino, fatti di attesa. L'attesa del suo like, del suo Retweet, del suo messaggio privato. Che se non arrivava, cazzo perché??
Ma se arrivava, Cristo santo mi cambiava la giornata. E il cielo sembrava più blu, e l'odore del freddo faceva meno male.
Continuavamo così. Io nell'attesa di lui. Lui nell'attesa di me.
Lui che interagiva con le altre solo per farmi male.
Io che sculettavo con le parole con chiunque mi degnasse di un discorso.
Ma poi arrivava la sua buonanotte. E questo bastava.
Non importava che non mi conoscesse. Che non sapesse che mi pace la carne ed il caffè amaro. Che odio i dolci e camminare scalza. Che sono maniaca dell'ordine e ossessionata dalla puntualità.
Che ballo in casa con la musica a tutto volume e che canto a squarcia gola. Che amo i tacchi altissimi e le gonne corte. Che adoro i baci sul collo e le parole sussurrate.
Che ho paura. Più o meno di tutto quello che faccio e che amo scrivere. Per nessuno ma per me. Per esorcizzarla quella paura e per non essere più un'anima fragile.
Continuavo ad amarlo. Giorno dopo giorno. Dando a lui tutto il senso del mio mondo. Che dentro un social pensi di poterlo controllare. Pensi che non faccia così male. E ti arrendi alla vita e alla realtà. Che continuano incessantemente il loro decorso. Mentre tu sei troppo presa a contare i like per accorgertene.
Mi ha ritwittato, ha condiviso il mio post, ha messo un mi piace sulla mia foto, si quella li. Quella di profilo, anche se non ero un gran che.
Cazzo, allora mi pensa?
E chi se ne importa se oggi piangevo per la bolletta dell'enel che non riesco a pagare e lui non lo sa. Conta solo che lui ora mi pensa e pensa che sono in guêpière e tacco 14, mentre in realtà sto sul cesso a frenare i miei urti di vomito.
Poi è arrivato il giorno in cui l'ho visto. Due sconosciuti, in macchina. Con tanti buongiorni condivisi, milioni di buonanotte e nulla più.
Ero bellissima. La stessa della foto del profilo. Senza filtri, come lui mi aveva sognato.
Lui perfetto. Tenebroso ed irresistibile, così come recitava alla lettera la sua bio.
Io avevo pianto fino a cinque minuti prima. Lui, ho poi saputo, che aveva lasciato sua moglie malata a casa.
Ma cosa importava? Bisognava scappare. Io con lui. Lui con me. Ma lontano dalla realtà.
Non l'ho più visto da allora.
Perché forse, alla fine, sta cazzo di realtà mi piace più di una pic. Sognata, immaginata ed idealizzata.
Quel giorno però lo ricordo sempre. Perché l'ho amato e l'ho amato dell'amore che Twitter mi aveva disegnato.
Abbiamo scopato.
Se non altro, almeno il sesso, è durato un po' di più di 140 caratteri. Giuro.

domenica 30 agosto 2015

Sono tornati.
Dopo una settimana di vacanza col babbo.
Ed hanno già iniziato: a litigare, a creare scompiglio, a sporcare la tavola, a incasinare la camera.
Ed io a fare la mia parte: brontolare, mettere in ordine, lavare, stirare, pulire.
Eppure di tutto quel silenzio che c'era fino a due ore fa, non rimpiango proprio niente.
Vi lascio un selfie: io pronta per la notte, Tommaso in mutande e Vittoria con gli stivali.
Perché qui ognuno vive nel suo mondo, ma quando c'è da abbracciarsi, ci siamo tutti e tre.

sabato 29 agosto 2015

L'unica cosa positiva della fine dell'estate, è che la smetteremo di vedere le vostre foto sul bagnasciuga con gambe socchiuse, passera in primo piano e sottotitolo: IL MARE.

venerdì 28 agosto 2015

La prima volta

La prima volta che sono uscita con Lui era una serata d'estate, calda. Caldissima.
Era un po' che aspettavo questo invito a cena, ma Lui si è fatto desiderare come si confà ad un professionista preso da impegni, riunioni, convegni, figlie ed ex mogli da gestire. Mi aveva corteggiato,un po'si. Qualche messaggio, qualche complimento, ma l'invito tanto atteso è arrivato quando forse non lo aspettavo più.
Non ero nervosa. Di più.
Lo conoscevo appena. Ma lo ammiravo, da tanto. Quando lo vedevo passare, con la sua giacca impeccabile, con il rayban che gli disegnava il volto, con la borsa da lavoro piena di cause, di risarcimenti, di tutele e di sentenze.
Io indossavo una tuta, nera. Aperta sui lati e nella schiena. Praticamente nuda.
Entriamo in questo ristorante che io così lo avevo visto solo nei film.
Lui mi apre la porta, io mi volto ed immediatamente mi scappa un onestissimo "anche meno".' Percorriamo il lungo corrioldoio fino ad arrivare al nostro tavolo, tra gli occhi increduli delle signore per bene, avvolte nei loro abiti bon ton. Io con la mia tuta nuda e i miei tacchi alti, decido di non dare retta alle gambe che tremavano. E allora quel corridoio lo attraverso a testa alta, che nemmeno la Campbell ( con 30 cm in meno, ma questo non si dice) nei tempi migliori.
La signora per bene mi osserva, fin troppo. E allora le lancio un'occhiata, di quelle che in fondo dicono "faresti meglio a pensare a tuo marito, che mi guarda così tanto che nemmeno una trans vaginale".
Lui era impeccabile. Nella sua camicia bianca. Bianchissima. I pantaloni blu, la giacca doppio petto, i gemelli al polsino.
Il cameriere si avvicina e mi fa sedere. Dopo di che arriva in ordine: quello che ci spiega il menù, quello che ci spiega i vini, quello che mi spiega dove mettere la borsa, quello che ci spiega il clima, quello che ci spiega.
Apro il menù (ovviamente senza prezzo) con le mani che mi tremano ed inizio a leggere. Tutti piatti mai sentiti, tutti nomi inpronunciabili. Terrorizzata dallo sbagliare pronuncia, decido di ripiegare sulla scelta più facile: "io prendo quello che prendi te". Pregando, nel frattempo, che non avesse scelto le escargot, altrimenti pretty woman levati proprio, che il lancio più lungo glielo faccio fare io.
Iniziamo a parlare. Lui mi incanta. Per la sapienza e la cultura.
Sapevo che aveva a che fare per vari motivi anche con la politica. E allora prima di uscire mi ero ripassata i nomi dei ministeri e quello dei ministri, con e senza portafoglio. Che se la serata doveva naufragare, non doveva certo essere per colpa del cognome di un fottuto deputato.
Non ricordo molto delle parole pronunciate. Ero troppo impegnata. A mangiare educatamente, a tenere la pancia in dentro, a fingermi interessata anche all'ultima sentenza della cassazione, a sfoderare il mio sorriso migliore.
Mi piaceva. Tanto.
Ma lui non doveva certo capirlo. Che non poteva essere l'intelligenza, il fascino, il bell'abito , l'eleganza e la galanteria a farmi crollare.
Ed allora ho finto. Di essere disinvolta in un ambiente che non conoscevo, di essere un esperta di vino, di essere stabile su dei tacchi 14 pieni di ansia.
Arriva il conto. Che lui ovviamente non guarda, salvo inserire la sua carta oro all'interno del porta conto di pelle nera. Ovviamente con mancia annessa. Per il cuoco, il sottocuoco, il sommelier, la cameriera, il cane del proprietario e per il gatto del facchino.
Non ricordo bene i discorsi di quella sera, ma ricordo esattamente quando è arrivato a prendermi ed io sono uscita.
Chiudo il portone di casa e mi avvio per il vialetto che mi separava dalla sua macchina.
Lo intravedo. Lui non mi aspettava nell'auto, come avevano fatto fino ad allora tutti i maschi che avevo incontrato.
No. Lui era fuori. In piedi. E mi aspettava, in piedi. Accanto alla macchina.
Cioè, amiche, Lui non era seduto a spippolare il cellulare e a cambiare stazione all' auto radio. 
Lui era in piedi. Lui mi aspettava in piedi.
Mi avvicino. E lui allora si dirige verso il lato passeggero, pronto ad aprirmi la portiera.
Lì ho pensato subito alle mie amiche e alla faccia che avrebbero fatto all'indomani all'udir del mio racconto. Ho pensato che le avrei fatte morire d'invidia, perché per una volta quella gran culo di Cenerentola ero io.
Le ho immaginate tutte, davanti a me. Con gli occhi sgranati e la mente sognante. E in quell'istante ho anche sentito esattamente quello che mi avrebbero detto:
"Gazza, a questo dagliela anche se non te la chiede".
E alle amiche, si sa, bisogna dare retta.


Essere amiche cosa significa?



Essere amiche cosa significa??
Fissare per una cena alle 21.
Verso le 17 telefonarsi per la scelta del vestito.
E alle 19.40 scambiarsi una serie di whatsapp di questo tenore...
- Ciao, io sono ad un aperitivo con dei colleghi. Ci vediamo tra poco.
+ Anche io!
- Io sono già briaca!
+ Pur io!!
- Sai dopo chi voglio provare a chiamare??
+ Non lo so, ma lo immagino.
- Io e te ci capiamo anche senza vederci.
+ Eh già...
E ridere.
Da sola.
A crepapelle...
Ed è solo l'inizio.
La serata deve ancora cominciare.

sabato 22 agosto 2015

FORTE

Sono al Forte e mi atteggio.
Pesce in riva al mare, aperitivi, shopping e bollicine (magari).
Ora entro nella boutique di Dolce e Gabbana, do' un'occhiata veloce e poi con grande nonchalance esordisco con un: "non c'è niente di mio gradimento".
Perché non importa se non c'hai una lira, basta essere disinvolti.

venerdì 21 agosto 2015

Ci sono due momenti che andrebbero eliminati per Noi separati (che poi, sì, concedetemi un po’ di pateticità e facciamone uno status: Noi, dai, quelli che non possano fare la comunione in chiesa e che girano tra la gente con la lettera scarlatta), uno è il Natale e l’altro sono le vacanze estive.
Perché per mettersi d’accordo, non è mica così semplice.
Io li prendo a luglio, te ad agosto.
Eh no. Io ad agosto lavoro e tu a luglio avevi sempre preso libero. Ma volevo andare i montagna e la terza settimana d’agosto non va bene? E allora per Dio, prendi la seconda e portali al mare, che poi, dai lo sai, a loro piace di più.
Si decide e si pianifica tutto. La vita di due ragazzini che , loro malgrado, si sono trovati in mezzo a questo casino. A queste vacanze spezzettate. Un po’con la mamma, un po’ col papà.
Che poi loro, alla fine, che ve lo dico a fare. Tra mare e montagna sono sempre in giro. Forse più dei ragazzi delle famiglie cosiddette normali. Perché quando ti separi, sei cosi preso dai sensi di colpa, che ti venderesti pure un rene pur di fargli trascorrere il ferragosto nel posto più glamour del momento.
Stabilita questa benedetta organizzazione arriva il momento di viverle questa sospirate vacanze.
E parti te. E li porti in su e giù per tutta la penisola. Il mare, la montagna e la campagna. Rientri a lavoro e sei più distrutta di quanto eri partita, perché reggere i ritmi ed anche il solo fatto di essere per 20 giorni il solo interlocutore di due bambini mica è semplice.
Mamma, a che ora torno?
Mamma, posso fare il bagno?
Mamma dammi un euro per la sala giochi?
Mamma oggi devo fare i compiti?
Mamma ho fame, cosa c’è di merenda?
Mamma posso andare a chiamare Filippo?
Mamma posso prendere la bici con Martina?
Mamma mi sono sbucciato il ginocchio!
Mamma mettimi il prendisole celeste, dai quello con sopra Violetta.
Rientri a lavoro, e passi le consegne al tuo ex marito.
E pensi che finalmente per te è arrivata la settimana di riposo.
Si, dovrai lavorare. Ma 8 ore di ufficio le prendi sotto gamba, dopo venti giorni di corse e di domande.
E allora pensi.
Pensi che il tardo pomeriggio andrai a correre, per poi rientrare e dopo una doccia veloce, buttarsi dall’estetista. Per uno scrub al corpo, per una sistemata alle sopracciglia, per una ritoccatina all’inguine.
Poi pensi che rientrerai, indosserai l’abito più figo che hai nell’armadio( magari fluo, che con questa pelle abbronzata, sai quanti ne faccio voltare per strada). Chiamerai le tue amiche e andrai nel locale, quello più faschion,, a devastarti di risate e di prosecchi.
La sera dopo invece telefonerai a lui, ed andrai a cena su una bella terrazza fiorentina. Flute di bollicine, aragoste e poi l’amore. Quello che poi sei sfinita, stanca, spettinata e sudata ma più bella di quando sei uscita col tuo tubino nero, lo chignon ed il tacco altissimo.
Pensi a tutto questo e lo farai.
Però c’è che non avrà il sapore che immaginavi.
Perché il sapore che ti piace ed il profumo che ti piace è quello della loro pelle. Dei loro insopportabili capricci, delle loro dannate ripicche.
Ma il tuo momento è andato e questa è la settimana del babbo.
Poi però ti arriva un selfie. Sono loro tre che stanno partendo. Con la gioia negli occhi e la voglia di mare sulle labbra.
E dici che immagine più bella non l’avevi mai vista. Anche se di foto migliori chissà quante ce ne sono.
Ora tocca a lui. E te non puoi far altro che pensare . A quel selfie e al loro desiderio di mare.
E ti dici che di tutto questo tempo fatto di aperitivi, di estetiste, di shopping e di risate che te ne fai.
Quando il cuore ce l’hai su una spiaggia a far castelli.
E allora resti a casa ad aspettare.
Che tornino.
Per lamentarti ancora. Della corsa che non puoi fare, dei punti neri che sarebbero da togliere, delle sopracciglia da fare, del vestito che ti manca. Del disordine delle camere, delle briciole in salotto, dei muri disegnati col pennarello.
Ma poi ti ricorderai di quel selfie. E di quanto hai pianto per non essere lì. E allora ti sdraierai sul divano, con loro addosso, a guardare la tv. E non sarà come mangiare ostriche e sorseggiare champagne. Sarà molto meglio. Perché sarai pure una donna, ma prima di ogni altra cosa, sei una mamma. La loro, mamma.
Siete bellissimi, tutti e tre. Buon divertimento.

giovedì 20 agosto 2015

LA COSTRUZIONE DI UN AMORE

LA COSTRUZIONE DI UN AMORE
Non dimenticherò tutto quel sangue. E neppure gli occhi scuri di quell'infermiera. Oppure ostetrica, o forse dottoressa, che mi sussurrava che presto sarebbe tutto finito, che mi chiedeva di non piangere.
Io invece credo di aver pianto. E penso di averlo fatto anche durante quel sonno forzato. Anzi, ne sono certa. Per il vuoto sentito al risveglio. Perché il pianto ad occhi chiusi fa ancora più male. Ma io dormivo. Mentre lasciavo che quei ferri raschiassero via la speranza di una vita da poco iniziata.
Non mi consolava che ti chiamassero embrione, per me eri il mio bambino. Il mio bambino che non ce l'aveva fatta.
Sorprendentemente mi trovo ora a pensare a te.
Ora che sono attaccata a questa macchina che su un pezzo di carta sta tracciando le curve del mio dolore. Come se poi servisse un pezzo di carta.
Ma tra le grida e questi grafici impazziti, c'è il rumore di questo cuoricino al galoppo che fa da colonna sonora.
È un dolore totale e assoluto.
È intenso e lancinante.
Non ti risparmia un respiro. Non da tregua e non ha pietà di te.
Eppure profuma di amore questo dolore. E ogni fitta che arriva profuma di più.
È impietoso e progressivo.
Ma non ho paura. Non ho paura di morire di dolore.
Perché questo dolore non può farmi morire.
Ma non smette e non si placa.
È insistente e incalzante.
Ma sai che ti dico? Mi ci sto abituando.
Sento che ora mi chiede di assecondarlo. Di andargli incontro e di abbracciarlo.
Sento che mi chiede di trattenerlo e poi spingerlo.
Assieme all'attesa, alla speranza, ai desideri. Ai sogni perfetti, all'amore cullato, alla gioia coltivata, ai progetti confezionati.
Non mi abbandonare proprio ora.
Proprio ora che fa male.
Sai cosa penso? Che non è come nei film. Che io non vedrò più un film. Che i film illudono e ti tradiscono. Perché non basta un urlo, una spinta ed una grande sudata.
No, che non basta.
Ci vuole coraggio e paura.
Ci vuole rabbia e speranza.
Ci vuole attesa ed impazienza.
Ora però sento che qualcosa sta cambiando.
Non fa più male. Ora brucia. Come una ferita che si apre. Come una ferita che appunto, si, brucia.
Ti stai prendendo tutto di me.
- Forza che questa è l'ultima spinta -
Ma questa qui davanti che crede?
Io già lo so. E tu meglio di me.
È un attimo.
Un calore che mi pervade.
Un dolore lacerante che si interrompe.
Una gioia che esplode.
È l'amore che si fa sostanza.
È la vita che ho costruito io.
Un secondo e sei sulla mia pancia. Sporco. Anche di sangue. Ma non quello stesso sangue. Piangi con la tua bocca spalancata.
Sei stravolto, come me.
Quanti capelli neri.
Ti guardo e ti riconosco.
Ancora non so a chi assomigli. Se sei bello o meno bello. Ma so che tu non potevi che essere così.
Ti accarezzo la testa.
Perdona la mano che ancora non smette di tremare.
- Amore mio, ciao. Sono la mamma-