lunedì 31 agosto 2015

L'AMORE SOCIAL


Mi sono imbattuta nella sua pic per caso. Forse un retweet, o forse una stellina messa da qualcuno che già seguivo. Si' perché Twitter per questo è ancora più immediato e spietato. 140 caratteri, e neppure un respiro in più. Ma bastano. Per perdersi in una foto profilo in cui non c'è nulla, ma per un attimo inizi a vederci tutto.
È un attimo davvero. E cominciamo con lo scriverci. Che poi Dio perché mi hai dato questo dono? Forse l'essere diretta, impulsiva e un po' pungente. Così tanto da arrivare subito, pure a lui.
Io mi chiamo Sara. E tu? Già lo sapevo, ma scritto da lui sembrava più bello.
I giorni seguenti erano risvegli al mattino, fatti di attesa. L'attesa del suo like, del suo Retweet, del suo messaggio privato. Che se non arrivava, cazzo perché??
Ma se arrivava, Cristo santo mi cambiava la giornata. E il cielo sembrava più blu, e l'odore del freddo faceva meno male.
Continuavamo così. Io nell'attesa di lui. Lui nell'attesa di me.
Lui che interagiva con le altre solo per farmi male.
Io che sculettavo con le parole con chiunque mi degnasse di un discorso.
Ma poi arrivava la sua buonanotte. E questo bastava.
Non importava che non mi conoscesse. Che non sapesse che mi pace la carne ed il caffè amaro. Che odio i dolci e camminare scalza. Che sono maniaca dell'ordine e ossessionata dalla puntualità.
Che ballo in casa con la musica a tutto volume e che canto a squarcia gola. Che amo i tacchi altissimi e le gonne corte. Che adoro i baci sul collo e le parole sussurrate.
Che ho paura. Più o meno di tutto quello che faccio e che amo scrivere. Per nessuno ma per me. Per esorcizzarla quella paura e per non essere più un'anima fragile.
Continuavo ad amarlo. Giorno dopo giorno. Dando a lui tutto il senso del mio mondo. Che dentro un social pensi di poterlo controllare. Pensi che non faccia così male. E ti arrendi alla vita e alla realtà. Che continuano incessantemente il loro decorso. Mentre tu sei troppo presa a contare i like per accorgertene.
Mi ha ritwittato, ha condiviso il mio post, ha messo un mi piace sulla mia foto, si quella li. Quella di profilo, anche se non ero un gran che.
Cazzo, allora mi pensa?
E chi se ne importa se oggi piangevo per la bolletta dell'enel che non riesco a pagare e lui non lo sa. Conta solo che lui ora mi pensa e pensa che sono in guêpière e tacco 14, mentre in realtà sto sul cesso a frenare i miei urti di vomito.
Poi è arrivato il giorno in cui l'ho visto. Due sconosciuti, in macchina. Con tanti buongiorni condivisi, milioni di buonanotte e nulla più.
Ero bellissima. La stessa della foto del profilo. Senza filtri, come lui mi aveva sognato.
Lui perfetto. Tenebroso ed irresistibile, così come recitava alla lettera la sua bio.
Io avevo pianto fino a cinque minuti prima. Lui, ho poi saputo, che aveva lasciato sua moglie malata a casa.
Ma cosa importava? Bisognava scappare. Io con lui. Lui con me. Ma lontano dalla realtà.
Non l'ho più visto da allora.
Perché forse, alla fine, sta cazzo di realtà mi piace più di una pic. Sognata, immaginata ed idealizzata.
Quel giorno però lo ricordo sempre. Perché l'ho amato e l'ho amato dell'amore che Twitter mi aveva disegnato.
Abbiamo scopato.
Se non altro, almeno il sesso, è durato un po' di più di 140 caratteri. Giuro.

domenica 30 agosto 2015

Sono tornati.
Dopo una settimana di vacanza col babbo.
Ed hanno già iniziato: a litigare, a creare scompiglio, a sporcare la tavola, a incasinare la camera.
Ed io a fare la mia parte: brontolare, mettere in ordine, lavare, stirare, pulire.
Eppure di tutto quel silenzio che c'era fino a due ore fa, non rimpiango proprio niente.
Vi lascio un selfie: io pronta per la notte, Tommaso in mutande e Vittoria con gli stivali.
Perché qui ognuno vive nel suo mondo, ma quando c'è da abbracciarsi, ci siamo tutti e tre.

sabato 29 agosto 2015

L'unica cosa positiva della fine dell'estate, è che la smetteremo di vedere le vostre foto sul bagnasciuga con gambe socchiuse, passera in primo piano e sottotitolo: IL MARE.

venerdì 28 agosto 2015

La prima volta

La prima volta che sono uscita con Lui era una serata d'estate, calda. Caldissima.
Era un po' che aspettavo questo invito a cena, ma Lui si è fatto desiderare come si confà ad un professionista preso da impegni, riunioni, convegni, figlie ed ex mogli da gestire. Mi aveva corteggiato,un po'si. Qualche messaggio, qualche complimento, ma l'invito tanto atteso è arrivato quando forse non lo aspettavo più.
Non ero nervosa. Di più.
Lo conoscevo appena. Ma lo ammiravo, da tanto. Quando lo vedevo passare, con la sua giacca impeccabile, con il rayban che gli disegnava il volto, con la borsa da lavoro piena di cause, di risarcimenti, di tutele e di sentenze.
Io indossavo una tuta, nera. Aperta sui lati e nella schiena. Praticamente nuda.
Entriamo in questo ristorante che io così lo avevo visto solo nei film.
Lui mi apre la porta, io mi volto ed immediatamente mi scappa un onestissimo "anche meno".' Percorriamo il lungo corrioldoio fino ad arrivare al nostro tavolo, tra gli occhi increduli delle signore per bene, avvolte nei loro abiti bon ton. Io con la mia tuta nuda e i miei tacchi alti, decido di non dare retta alle gambe che tremavano. E allora quel corridoio lo attraverso a testa alta, che nemmeno la Campbell ( con 30 cm in meno, ma questo non si dice) nei tempi migliori.
La signora per bene mi osserva, fin troppo. E allora le lancio un'occhiata, di quelle che in fondo dicono "faresti meglio a pensare a tuo marito, che mi guarda così tanto che nemmeno una trans vaginale".
Lui era impeccabile. Nella sua camicia bianca. Bianchissima. I pantaloni blu, la giacca doppio petto, i gemelli al polsino.
Il cameriere si avvicina e mi fa sedere. Dopo di che arriva in ordine: quello che ci spiega il menù, quello che ci spiega i vini, quello che mi spiega dove mettere la borsa, quello che ci spiega il clima, quello che ci spiega.
Apro il menù (ovviamente senza prezzo) con le mani che mi tremano ed inizio a leggere. Tutti piatti mai sentiti, tutti nomi inpronunciabili. Terrorizzata dallo sbagliare pronuncia, decido di ripiegare sulla scelta più facile: "io prendo quello che prendi te". Pregando, nel frattempo, che non avesse scelto le escargot, altrimenti pretty woman levati proprio, che il lancio più lungo glielo faccio fare io.
Iniziamo a parlare. Lui mi incanta. Per la sapienza e la cultura.
Sapevo che aveva a che fare per vari motivi anche con la politica. E allora prima di uscire mi ero ripassata i nomi dei ministeri e quello dei ministri, con e senza portafoglio. Che se la serata doveva naufragare, non doveva certo essere per colpa del cognome di un fottuto deputato.
Non ricordo molto delle parole pronunciate. Ero troppo impegnata. A mangiare educatamente, a tenere la pancia in dentro, a fingermi interessata anche all'ultima sentenza della cassazione, a sfoderare il mio sorriso migliore.
Mi piaceva. Tanto.
Ma lui non doveva certo capirlo. Che non poteva essere l'intelligenza, il fascino, il bell'abito , l'eleganza e la galanteria a farmi crollare.
Ed allora ho finto. Di essere disinvolta in un ambiente che non conoscevo, di essere un esperta di vino, di essere stabile su dei tacchi 14 pieni di ansia.
Arriva il conto. Che lui ovviamente non guarda, salvo inserire la sua carta oro all'interno del porta conto di pelle nera. Ovviamente con mancia annessa. Per il cuoco, il sottocuoco, il sommelier, la cameriera, il cane del proprietario e per il gatto del facchino.
Non ricordo bene i discorsi di quella sera, ma ricordo esattamente quando è arrivato a prendermi ed io sono uscita.
Chiudo il portone di casa e mi avvio per il vialetto che mi separava dalla sua macchina.
Lo intravedo. Lui non mi aspettava nell'auto, come avevano fatto fino ad allora tutti i maschi che avevo incontrato.
No. Lui era fuori. In piedi. E mi aspettava, in piedi. Accanto alla macchina.
Cioè, amiche, Lui non era seduto a spippolare il cellulare e a cambiare stazione all' auto radio. 
Lui era in piedi. Lui mi aspettava in piedi.
Mi avvicino. E lui allora si dirige verso il lato passeggero, pronto ad aprirmi la portiera.
Lì ho pensato subito alle mie amiche e alla faccia che avrebbero fatto all'indomani all'udir del mio racconto. Ho pensato che le avrei fatte morire d'invidia, perché per una volta quella gran culo di Cenerentola ero io.
Le ho immaginate tutte, davanti a me. Con gli occhi sgranati e la mente sognante. E in quell'istante ho anche sentito esattamente quello che mi avrebbero detto:
"Gazza, a questo dagliela anche se non te la chiede".
E alle amiche, si sa, bisogna dare retta.


Essere amiche cosa significa?



Essere amiche cosa significa??
Fissare per una cena alle 21.
Verso le 17 telefonarsi per la scelta del vestito.
E alle 19.40 scambiarsi una serie di whatsapp di questo tenore...
- Ciao, io sono ad un aperitivo con dei colleghi. Ci vediamo tra poco.
+ Anche io!
- Io sono già briaca!
+ Pur io!!
- Sai dopo chi voglio provare a chiamare??
+ Non lo so, ma lo immagino.
- Io e te ci capiamo anche senza vederci.
+ Eh già...
E ridere.
Da sola.
A crepapelle...
Ed è solo l'inizio.
La serata deve ancora cominciare.

sabato 22 agosto 2015

FORTE

Sono al Forte e mi atteggio.
Pesce in riva al mare, aperitivi, shopping e bollicine (magari).
Ora entro nella boutique di Dolce e Gabbana, do' un'occhiata veloce e poi con grande nonchalance esordisco con un: "non c'è niente di mio gradimento".
Perché non importa se non c'hai una lira, basta essere disinvolti.

venerdì 21 agosto 2015

Ci sono due momenti che andrebbero eliminati per Noi separati (che poi, sì, concedetemi un po’ di pateticità e facciamone uno status: Noi, dai, quelli che non possano fare la comunione in chiesa e che girano tra la gente con la lettera scarlatta), uno è il Natale e l’altro sono le vacanze estive.
Perché per mettersi d’accordo, non è mica così semplice.
Io li prendo a luglio, te ad agosto.
Eh no. Io ad agosto lavoro e tu a luglio avevi sempre preso libero. Ma volevo andare i montagna e la terza settimana d’agosto non va bene? E allora per Dio, prendi la seconda e portali al mare, che poi, dai lo sai, a loro piace di più.
Si decide e si pianifica tutto. La vita di due ragazzini che , loro malgrado, si sono trovati in mezzo a questo casino. A queste vacanze spezzettate. Un po’con la mamma, un po’ col papà.
Che poi loro, alla fine, che ve lo dico a fare. Tra mare e montagna sono sempre in giro. Forse più dei ragazzi delle famiglie cosiddette normali. Perché quando ti separi, sei cosi preso dai sensi di colpa, che ti venderesti pure un rene pur di fargli trascorrere il ferragosto nel posto più glamour del momento.
Stabilita questa benedetta organizzazione arriva il momento di viverle questa sospirate vacanze.
E parti te. E li porti in su e giù per tutta la penisola. Il mare, la montagna e la campagna. Rientri a lavoro e sei più distrutta di quanto eri partita, perché reggere i ritmi ed anche il solo fatto di essere per 20 giorni il solo interlocutore di due bambini mica è semplice.
Mamma, a che ora torno?
Mamma, posso fare il bagno?
Mamma dammi un euro per la sala giochi?
Mamma oggi devo fare i compiti?
Mamma ho fame, cosa c’è di merenda?
Mamma posso andare a chiamare Filippo?
Mamma posso prendere la bici con Martina?
Mamma mi sono sbucciato il ginocchio!
Mamma mettimi il prendisole celeste, dai quello con sopra Violetta.
Rientri a lavoro, e passi le consegne al tuo ex marito.
E pensi che finalmente per te è arrivata la settimana di riposo.
Si, dovrai lavorare. Ma 8 ore di ufficio le prendi sotto gamba, dopo venti giorni di corse e di domande.
E allora pensi.
Pensi che il tardo pomeriggio andrai a correre, per poi rientrare e dopo una doccia veloce, buttarsi dall’estetista. Per uno scrub al corpo, per una sistemata alle sopracciglia, per una ritoccatina all’inguine.
Poi pensi che rientrerai, indosserai l’abito più figo che hai nell’armadio( magari fluo, che con questa pelle abbronzata, sai quanti ne faccio voltare per strada). Chiamerai le tue amiche e andrai nel locale, quello più faschion,, a devastarti di risate e di prosecchi.
La sera dopo invece telefonerai a lui, ed andrai a cena su una bella terrazza fiorentina. Flute di bollicine, aragoste e poi l’amore. Quello che poi sei sfinita, stanca, spettinata e sudata ma più bella di quando sei uscita col tuo tubino nero, lo chignon ed il tacco altissimo.
Pensi a tutto questo e lo farai.
Però c’è che non avrà il sapore che immaginavi.
Perché il sapore che ti piace ed il profumo che ti piace è quello della loro pelle. Dei loro insopportabili capricci, delle loro dannate ripicche.
Ma il tuo momento è andato e questa è la settimana del babbo.
Poi però ti arriva un selfie. Sono loro tre che stanno partendo. Con la gioia negli occhi e la voglia di mare sulle labbra.
E dici che immagine più bella non l’avevi mai vista. Anche se di foto migliori chissà quante ce ne sono.
Ora tocca a lui. E te non puoi far altro che pensare . A quel selfie e al loro desiderio di mare.
E ti dici che di tutto questo tempo fatto di aperitivi, di estetiste, di shopping e di risate che te ne fai.
Quando il cuore ce l’hai su una spiaggia a far castelli.
E allora resti a casa ad aspettare.
Che tornino.
Per lamentarti ancora. Della corsa che non puoi fare, dei punti neri che sarebbero da togliere, delle sopracciglia da fare, del vestito che ti manca. Del disordine delle camere, delle briciole in salotto, dei muri disegnati col pennarello.
Ma poi ti ricorderai di quel selfie. E di quanto hai pianto per non essere lì. E allora ti sdraierai sul divano, con loro addosso, a guardare la tv. E non sarà come mangiare ostriche e sorseggiare champagne. Sarà molto meglio. Perché sarai pure una donna, ma prima di ogni altra cosa, sei una mamma. La loro, mamma.
Siete bellissimi, tutti e tre. Buon divertimento.

giovedì 20 agosto 2015

LA COSTRUZIONE DI UN AMORE

LA COSTRUZIONE DI UN AMORE
Non dimenticherò tutto quel sangue. E neppure gli occhi scuri di quell'infermiera. Oppure ostetrica, o forse dottoressa, che mi sussurrava che presto sarebbe tutto finito, che mi chiedeva di non piangere.
Io invece credo di aver pianto. E penso di averlo fatto anche durante quel sonno forzato. Anzi, ne sono certa. Per il vuoto sentito al risveglio. Perché il pianto ad occhi chiusi fa ancora più male. Ma io dormivo. Mentre lasciavo che quei ferri raschiassero via la speranza di una vita da poco iniziata.
Non mi consolava che ti chiamassero embrione, per me eri il mio bambino. Il mio bambino che non ce l'aveva fatta.
Sorprendentemente mi trovo ora a pensare a te.
Ora che sono attaccata a questa macchina che su un pezzo di carta sta tracciando le curve del mio dolore. Come se poi servisse un pezzo di carta.
Ma tra le grida e questi grafici impazziti, c'è il rumore di questo cuoricino al galoppo che fa da colonna sonora.
È un dolore totale e assoluto.
È intenso e lancinante.
Non ti risparmia un respiro. Non da tregua e non ha pietà di te.
Eppure profuma di amore questo dolore. E ogni fitta che arriva profuma di più.
È impietoso e progressivo.
Ma non ho paura. Non ho paura di morire di dolore.
Perché questo dolore non può farmi morire.
Ma non smette e non si placa.
È insistente e incalzante.
Ma sai che ti dico? Mi ci sto abituando.
Sento che ora mi chiede di assecondarlo. Di andargli incontro e di abbracciarlo.
Sento che mi chiede di trattenerlo e poi spingerlo.
Assieme all'attesa, alla speranza, ai desideri. Ai sogni perfetti, all'amore cullato, alla gioia coltivata, ai progetti confezionati.
Non mi abbandonare proprio ora.
Proprio ora che fa male.
Sai cosa penso? Che non è come nei film. Che io non vedrò più un film. Che i film illudono e ti tradiscono. Perché non basta un urlo, una spinta ed una grande sudata.
No, che non basta.
Ci vuole coraggio e paura.
Ci vuole rabbia e speranza.
Ci vuole attesa ed impazienza.
Ora però sento che qualcosa sta cambiando.
Non fa più male. Ora brucia. Come una ferita che si apre. Come una ferita che appunto, si, brucia.
Ti stai prendendo tutto di me.
- Forza che questa è l'ultima spinta -
Ma questa qui davanti che crede?
Io già lo so. E tu meglio di me.
È un attimo.
Un calore che mi pervade.
Un dolore lacerante che si interrompe.
Una gioia che esplode.
È l'amore che si fa sostanza.
È la vita che ho costruito io.
Un secondo e sei sulla mia pancia. Sporco. Anche di sangue. Ma non quello stesso sangue. Piangi con la tua bocca spalancata.
Sei stravolto, come me.
Quanti capelli neri.
Ti guardo e ti riconosco.
Ancora non so a chi assomigli. Se sei bello o meno bello. Ma so che tu non potevi che essere così.
Ti accarezzo la testa.
Perdona la mano che ancora non smette di tremare.
- Amore mio, ciao. Sono la mamma-

mercoledì 19 agosto 2015

DONNA

Non so cosa mettermi la mattina.
Perché il bianco trasparisce, il nero di giorno no, ma il pastello mi muore addosso.
Non so cosa mangiare a pranzo. Perché una pastasciutta è troppo, un'insalata troppo poco ed una schiacciatina chissà poi che cosa ci hanno messo dentro.
Non so se voglio che il tipo che ho conosciuto mi ricerchi. Perché se non mi chiama, che cafone, ma se mi chiama troppe volte, Cristo che palle.
Non so se andare a correre o stare a guardare la tv. Perché se corro, poi sudo e addio fondotinta di Dior, ma se resto sul divano come posso tonificare questi polpacci così tristi.
Non so se mettere lo smalto corallo o il verde Tiffany. Perché corallo va su tutto, ma col Tiffany sarei decisamente più particolare.
Non so se tagliarmi i capelli o lasciarli crescere. Perché se la parrucchiera non capisce poi li taglia troppo. Ma se poi li taglia troppo poco, allora è inutile fare la contro permanente.
Non so se fidanzarmi o rimanere single. Perché single non mi piace, ma poi single quando dico io mi piace parecchio.
E adesso, pensandoci, non so neppure che ore sono.
Ma non mi sento confusa.
Sono una donna.
Non so cosa voglio, ma so che la voglio subito.

giovedì 13 agosto 2015

DI NOTTE

DI NOTTE
Penso che i sogni distrutti fanno un gran male.
Che quando ci hai messo la speranza, la fiducia e l'illusione, disattenderli è un po’ tradire se stessi.
Penso anche che il fallimento è un percorso.
Un percorso sfibrante ed estenuante.
Che parte dall'incertezza e dal buio totale. Dal credere che non ne potrai mai uscire. Che quella ormai è la vita che ti sei scelta e che non esiste gomma che possa cancellare un cammino già disegnato.
E allora di notte fai all'amore con le lacrime. Col senso di impotenza e col respiro che manca. Con la debolezza e l'incapacità. Col pianto che non si trattiene e con la voglia di andare sempre più a fondo.
Poi ti rendi conto che forse è troppo presto per morire.
E improvvisamente ti trovi davanti alla verità. Ed è una verità che non avevi sognato. Ed è una verità che non avevi desiderato.
E allora di notte ti trovi a far l'amore occhi negli occhi con la sconfitta. Occhi negli occhi con le promesse non mantenute, con i progetti irrealizzati.
È un attimo e ti trovi catapultata nella parte burocratica di questo fallimento.
Fare i conti dei piatti che restano, dei vassoi da prendere, dei soldi da dividere.
Delle coperte, dei cuscini e delle lenzuola. Della batteria di pentole, dei bicchieri da grappa, delle posate buone. Delle cornici e degli ingrandimenti. Dei souvenir , dei DVD, dei libri e delle nostre canzoni.
Per poi trovarsi a sfidare gli sguardi della gente. I commenti, le opinioni che sanno di giudizi, le critiche, le frasi fatte e la pietà.
E intanto di notte continui a far l'amore.
Con la delusione e la povertà. Con la miseria dei sogni rubati. Degli abbracci mancati. Della favola senza finale.
Penso ora a tutto questo.
Di notte.
Ora che fintamente sembrerebbe tutto passato.
Ora che sono in un letto che non è il nostro.
Ora che guardo un soffitto che non è il nostro.
Ora che sono sola.
E penso che la verità è che l'amore finisce. E finisce anche se era amore. E finisce anche se resta, amore.
Ho sete.
Mi alzo per prendere una bottiglia d'acqua.
Non accendo la luce. E procedo a tentoni tra queste mura che ancora non conosco.
Mi sorprendo a camminare in punta di piedi.
Mi sorprendo a farlo per non svegliarti.
Vedi amore mio, in fondo è per sempre.
Anche se non lo sarà più.