venerdì 18 marzo 2016

E comunque la mattina non siamo mamme, siamo gli Avengers.
Ti svegli alle sei e mezzo e rantolando raggiungi la cucina. Con una mano scaldi il latte e con l'altra ti togli le prime cispe. Guardi il calendario e ti accorgi all'improvviso che oggi hai, in ordine, dopo il lavoro: il dentista, il figlio da portare agli allenamenti di calcio, la bambina da accompagnare al catechismo, il veterinario del pappagallo, il pap test e l'incontro al caaf per il calcolo dell'isee.
Guardi ...allora i due angioletti che ancora dormono con la bolla al naso e pensi che cazzo, non importa se hanno sette e dieci anni, potrebbero pur contribuire all'andamento della baracca.
Invece impieghi circa quindici minuti per farli alzare, mentre nel frattempo ti infili le calze e gli stivali.
Riesci a trascinarli a tavola, una tazza di latte per lui con un cucchiaio e mezzo di zucchero. Cinque galletti e tre gocciole e otto quarti.
Nesquik per lei e merendina con una punta di marmellata e tre millilitri di miele.
Raggiungi quindi il bagno, lasciandoli alla loro colazione, per darti quanto meno un tono di blush che per lo meno ti tolga dal viso quel verde influenza.
Ma mentre cercherai di applicare due pennellate di mascara, le dolci creature ti chiameranno dodici volte. C'è l'avviso della recita da firmare, il quaderno di matematica che è finito, il grembiule bucato e otto panini da preparare per lo sciopero della mensa.
Cercherai allora di rimediare in fretta e furia a tutte le richieste.
E al contempo inizierai a vestire e lavare gli angioletti. Nel giro di quindici minuti loro saranno perfetti. Tu invece con le solite calze, gli stivali, un occhio col rimmel e l'altra guancia col blush.
Sulla porta di casa, già in ritardo di dodici minuti sulla tabella di marcia, ti ricorderai di indossare almeno la gonna. Che solo con le calze nemmeno Belen a formentera.
Lì allora penserai che sarà una giornata come le altre. Andrai a lavoro, ti scorderai il dentista, porterai la femmina a calcio, il maschio a catechismo ed il pappagallo a fare il pap test.
Poi però entrerai in ascensore.
E nella discesa dal quarto al primo piano, entrerai su Facebook.
Una manciata di filtri e cambierai la foto del profilo.
Perché mamma si, ma quanto meno figa.
E che cazzo.

mercoledì 2 marzo 2016

Sono uscita di casa stamani alle 07.45. Sono rientrata questa sera alle 19.30. Due zaini sulle spalle, tre borse della spesa, due figli per la mano ed un cane al guinzaglio.
Avrei voluto passare quarantacinque minuti dal parrucchiere, due ore in palestra a fare gag e tre ore e mezzo tra l'estetista e lo shopping.
Invece sono le 21.20, ho le borse sotto agli occhi ed i glutei che cadono. La solita tuta grigia e dei capelli di merda.
Ma quando mi siedo sul divano ed i bambini ...mi abbracciano forte, io divento davvero la donna più bella.
Stanca.
Morta.
Ma la più bella.

martedì 1 marzo 2016

Con l'ultimo aggiornamento whatsapp, la doppia spunta blu, che dà conferma della lettura del messaggio, appare direttamente nella cronologia accanto al nome dell'interessato.
Cioè, non occorre più entrare nella singola chat, per verificare se il Lui di turno ha seriamente letto, perché la conferma arriva direttamente dalla cronologia. Togliendoci così la suspence e la possibilità di decidere se controllare o meno l'avvenuta visualizzazione.
Ora, io mi chiedo.
Prima la consegn...a.
Poi la lettura.
Adesso la conferma vicino al nome.
Volete forse convincermi che se lui ha ricevuto, visualizzato, letto, riletto ed io non ho ottenuto segni di vita, è perché veramente non mi ha risposto?
No, amiche.
Io mi rifiuto di crederci.

Altro...

lunedì 29 febbraio 2016

Mentre voi esultate per la vittoria di Di Caprio, io godo per quelle di Morricone.
Che non contento di essere già il più grande, con la voce rotta dall'emozione ringrazia e dedica la statuetta alla moglie. Come solo i cuori giganti sanno fare.
Della serie, un omo, decisamente da Oscar.

venerdì 26 febbraio 2016

Io ogni tanto vado su YouTube e me la riguardo questa scena.
Specie quando ricevo da amiche e conoscenti, racconti e considerazioni su attuali incontri d'amore.
Lui Richard Gere, pilota della Marina, bellissimo e dannato.
Incontra la sensuale Paula ed intreccia con lei questa relazione che solo apparentemente non avrebbe dovuto avere nessun risvolto sentimentale.
Un po' come accade a noi....
Sei in un locale, a bere il tuo spritz. Al tavolo vicino il tipo alto, moro, aitante che ti fissa per circa quarantacinque minuti. Poi si alza, si presenta ed ancor prima di aver detto il suo nome ti ammonisce: non sono in cerca di storie serie. Si, perché quanto piacerà a questi uomini mettere le mani avanti. Ed il culo al sicuro.
Così se ti mollano dopo la prima scopata, non puoi neppure dire nulla. Che se lo fai, la risposta è già scritta: io te lo avevo detto che non cercavo impegni.
Ancora non hai alzato gli occhi dal tuo spritz, che già ti propina la storia dell'uomo deluso, uscito da poco da una storia importante e quindi poco incline ai legami stretti.
A parte il fatto che, signori, la filastrocca dell'uomo che non vuole impegnarsi, ve la perdoniamo, forse, a vent'anni. Ma non a quaranta o cinquanta, quando magari avete già i primi problemi di prostata e la storia seria, se aspettate ancora, la stringerete con la badante.
Poi, non è che noi donne dobbiamo per forza sposarci. Magari per una volta ci divertiamo anche noi. Ma non occorre sottolinearlo ancor prima di essersi stretti la mano.
La verità è che noi saremo troppo romantiche ma voi siete spesso dei grandi paraculo. Ed allora io mi guardo Richard Gere. Che non pone limiti alla storia e di quella donna si innamora. Va nella fabbrica dove Paula lavora, la prende in braccio e la porta via.
E quello che rimane non è che per tutto il film il bel Richard è stato Ufficiale.
Quello che ancora oggi ricordiamo è che alla fine, fu davvero Gentiluomo.

Altro...

lunedì 22 febbraio 2016

Io sono laureata in giurisprudenza. Ed ho fatto per più di due anni pratica da un avvocato, prima di fare il concorso in banca e divenire un'impiegata del credito.
Ricordo una delle prime udienze a cui assistetti, come praticante. Era una separazione. Consensuale, ma pur sempre separazione. Quando uscimmo dall'aula la moglie, da noi assistita, scoppio' in un pianto dirotto. Mi ricordo che in quell'istante mi giurai che a me nella vita non sarebbe mai dovuto accadere. Due firm...e, in fretta e furia. Un No stringato alla domanda su eventuali possibilità di riconciliazione e nulla più.
Cinque minuti per cancellare una vita.
Cercai di consolare quella signora, e le dissi che il tempo avrebbe asciugato tutto, quelle lacrime e quel dolore.
La vita poi è beffarda, perché ti fa vivere proprio quello che ti eri promessa di evitare.
Quei cinque minuti li ho respirati anche io.
E quando accadde mi dissi che nella vita non bisogna far progetti, perché non sai mai quello che ti riserva.
Ma soprattutto ricordai le lacrime di quella signora. E pensai che in fondo le avevo detto un gran cazzata.
Perché il tempo non le asciuga quelle lacrime.
Quelle restano.
E restano per sempre. Perché quel per sempre lo hai promesso. E le promesse, in qualche modo, non si dimenticano. Mai.

mercoledì 17 febbraio 2016

Ho visto Perfetti Sconosciuti al cinema e non è certo mia intenzione rovinare la sorpresa a chi ancora deve goderne.
Ma la trama pressoché è già nota a tutti.
Una comitiva di amici che durante una cena, decide di fare il gioco del telefono: mettere ognuno in tavola il proprio cellulare e rendere noto agli altri ogni messaggio, notifica, chiamata, che nel corso della serata fosse arrivata.
Inutile sottolineare l'attualità dell'argomento. Così scottante, così veritiero, da risu...ltare tutto reale.
Perché ognuno di noi ha una parte che non svela. Per pudore, per convenienza, per egoismo, per protezione.
Ma quella parte c'è.
Ed è tutta racchiusa li.
Nel messaggio che sostieni di non avere mandato.
Nella chiamata che ti affanni a dire di non avere fatto.
Nella chat di Facebook in cui ti tocchi con un perfetto sconosciuto.
Nei messaggi privati di Twitter, in cui racconti a chi che sia i tuoi problemi.
In quei wathsapp in cui, a seconda dell'evenienza, ti inventi: mamma, amica, amante, santa o puttana.
E non c'entra quanto credi nel tuo rapporto, quanto ami la tua famiglia, o quanto veneri le tue amicizie.
C'è sempre qualcosa di scuro e irrisolto. Di non detto e trattenuto.
Che resta lì. Nella memoria di una sim, che corre affannata a far da concorrente alla tua coscienza.
Invito anche i più coraggiosi, i più puliti a non sfidare gli altri, nè tanto meno se stessi, a questo gioco deleterio.
Tenetelo stretto quel telefono, che sa cose che noi comuni mortali soltanto immaginiamo.
Perché se mi va di mandare in culo il mio datore di lavoro, lasciatemelo fare. Mentre di fronte gli faccio grandi sorrisi.
Perché se mi va di farmi sfilare le mutande da un utente Facebook sconosciuto, per la noia che albeggia nel mio matrimonio, lasciatemelo fare. Mentre cucino la frittata.
Perché se mi va di tentare la strada che ho sempre agognato, a dispetto di tutti, lasciatemelo fare. Senza che quei no diventino patrimonio comune.
C'è che bisognerebbe avere il coraggio di porre un limite alle menzogne che ci raccontiamo.
Ma finché non lo fate, non consegnate l'iPhone. O quanto meno fatelo, solo dopo avere distrutto per sempre la cronologia di wathsapp.
Dite: lo giuro.

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domenica 14 febbraio 2016

SAN VALENTINO

Tra un paio d'ore, più o meno verso l'ora di pranzo, telefonerò a mia mamma. Come ogni giorno. Mi lamenterò delle molte cose da fare, dei compiti dei bambini, dei panni da stirare, del fatto che ad essere sola si dura un sacco di fatica.
Lei mi ascolterà, come sempre.
Sul finire della telefonata, poi mi racconterà, sono certa, che questa mattina il mio babbo si è presentato sulla porta di casa con un mazzo di rose rosse.
Tra la commozione e la sana invidia penserò che uomini ...come mio padre non ce ne sono più.
Ma poi mi ricorderò di una cosa.
Di lei, di mia mamma.
E mi ricorderò che lei, negli ultimi 44 anni, ogni volta in cui lui è rientrato, è stata lì su quella porta ad aspettarlo.
Ci si incontra per caso.
Ma ci si sceglie ogni giorno.
In due.

lunedì 8 febbraio 2016

Oggi all'ora di pranzo mangiavo un panino in una piazza vicino a dove lavoro. Seduta su una panchina, con il mio iPhone ed un giornale di gossip.
Leggevo, quando mi sono soffermata a guardare una mamma che passava di lì col suo bambino. Lei avrà avuto forse trent'anni. Capelli castani, piumino nero e scarpe da ginnastica. Lui, non credo arrivasse ai tre. Cappellino di lana grigio, giubbotto blu ed un piccolo zainetto rosso di topolino che con fierezza portava sulle spalle.
Il... bambino trotterellava sempre qualche passo davanti alla mamma, nonostante lei lo invitasse ripetutamente a darle la mano.
Ad un tratto un salto troppo spavaldo per quelle piccole gambine. Il bambino è caduto. Non si é fatto nulla, si è rialzato subito. Ma è restato male.
Si è voltato a guardare la mamma, quasi a dirle:
- Beh, ancora una volta avevi ragione tu.
Lei si è abbassata, in ginocchio ed ha aperto le braccia.
Il bambino ha cominciato a piangere e le è andato incontro.
Era disperato.
Non sentiva male. No.
Non piangeva per quello.
Piangeva perché voleva che la mamma pensasse che si era fatto male.
Piangeva perché aveva voglia di piangere.
Piangeva perché voleva essere consolato.
Piangeva perché desiderava essere stretto.
Lo ha abbracciato quella mamma. Lo ha abbracciato così forte, come se quel bambino stesse provando il più grande dei dolori.
Lo ha abbracciato per dirgli che lei lo abbraccerà sempre. Ogni volta in cui cadrà.
Lo ha abbracciato per dirgli che potrà piangere con lei ogni volta in cui avrà voglia di farlo.
Ho smesso di leggere.
E in quell'istante ho pensato che io di anni ne ho 39.
Ma che non dovrebbero esserci limiti di tempo o di luogo.
Ed ho pensato che tutti abbiamo diritto ad un abbraccio così. Tutti.

venerdì 5 febbraio 2016

Questa sera avevo un appuntamento molto importante. Di quelli a cui non vorresti mai presentarti, ma che la vita, talvolta, ti mette davanti. Di quelli che sanno di dolore e di ricordi. Di quelli che ti rammentano che gli sbagli non si dimenticano.
Ero in macchina. Ascoltavo la mia canzone. Il fiato corto e il respiro a metà.
Non lo sapeva nessuno dove stavo andando.
Solo due persone.
Mi arriva un messaggio. Di una persona, tanto ma tanto speciale. Una persona con cui ho cond...iviso metà della vita e che gli ultimi tempi ho un po' perso. Una di quelle che la vita ha condannato alla mia stessa sorte. Una di quelle con cui ci siamo scelte una, due, mille volte. Ed i nostri figli, dopo di noi.
Voleva ricordarmi che è molto che non ci vediamo. E che è ora di far qualcosa per colmare questa distanza.
Ero felice.
Col fiato corto, ancora. Ma già un po' più felice.
Continuo a guidare.
Ed arriva una telefonata.
- Ma non sei a casa?
Un' amica che era davanti al mio portone. Con due cioccolatini a cuore al posto degli occhi ed una bottiglia di prosecco. Scampanellava al mio citofono. Giusto per ricordarmi che anche se il giorno prima c'è stata una incomprensione, tra amiche basta un bicchiere per brindarci sopra e riderci forte.
Sono andata al mio appuntamento.
Col fiato corto. Sempre corto.
Ma ancora un po' più felice.
Il mio incontro è durato circa un'ora.
Quando sono uscita ho riacceso il mio iPhone.
Era lei.
L'amica che c'è da una vita. Quella che è stata sempre accanto. Sempre. Nei dolori più atroci. Nelle lacrime più pesanti.
Quella che negli ultimi anni magari senti tre quattro volte al mese, per i tanti impegni di entrambe. Ma che quando abbracci e' sempre come se fosse stato un attimo fa.
Queste persone non sapevano del mio appuntamento.
Del fiato corto e del respiro che mancava.
Non lo sapevano ma in qualche modo lo hanno sentito.
Perché c'è che nell'amore non serve spiegarsi.
Non importa dire del fiato corto e del respiro che manca.
Ci sono persone che già lo sanno.
E sono quelle lì.
Quelle che restano. Nonostante e malgrado.
Perché c'è chi dice di volerti bene. E poi c'è chi lo fa.

giovedì 4 febbraio 2016

LA SCORCIATOIA

Avevo un vestito rosso. Di quelli stretti e fascianti. Di quelli che mi fanno sentire donna tra le donne. Di quelli che ti accarezzano e ti avvolgono. Di quelli che lasciano all'immaginazione tutto ciò che non hai voglia di scoprire. Non so perche quella mattina avevo deciso di indossarlo. Ma sapevo che avrei dovuto indossare proprio quello.
Era tardi.
Il lavoro mi aveva trattenuto in ufficio molto più del previsto....
La stanchezza faceva da contorno alla radio della macchina, che suonava il mio pezzo preferito.
Ad un tratto un rumore.
Ci ho messo un po' a capire se si trattava di un nuovo accordo o di qualcosa di diverso.
Non era la radio.
Non era Adele che improvvisamente stava stonando.
Era la ruota anteriore che aveva deciso che mi fermassi li. Con la mia stanchezza ed il mio vestito rosso.
In quella maledetta scorciatoia che invece di farmi risparmiare cinque minuti, me ne avrebbe fatti perdere almeno venti.
Il telefono scarico e la voglia di piangere.
Ero io. Ed il mio vestito rosso.
Pochi minuti ed è passata una macchina blu. Di quelle belle e importanti. Di quelle che se vedi nei film, non possono che essere guidate dall'avvocato di successo.
La macchina blu si è fermata. Si è aperta la portiera.
Mi aspettavo un uomo maturo in giacca e cravatta. Ed invece è uscito un ragazzo coi jeans e le saucony. Col giubbotto di pelle e i capelli spettinati. Così spettinati che c'era da chiedersi se era appena uscito di palestra o se avesse da poco fatto l'amore.
- Ti aiuto io.
Non mi ha fatto nemmeno parlare.
Ha aperto il cofano. Ha cercato il crick. La ruota di scorta. Ha fatto tutto lui. Come se fino a quel momento nella sua vita non avesse fatto altro che cambiare gomme.
Io non ho detto niente.
Ero incantata e sedotta.
Dalla sua padronanza.
Dal suo essere lì. Ai miei piedi.
Finito il suo lavoro, si è alzato.
Mi ha guardato ed ha detto tutto. Così. In silenzio.
+ Beh. Che posso fare per ringraziarti?
Ancora una volta non ha detto nulla.
Ha messo una mano tra i miei riccioli. Si è avvicinato ed ha annusato il mio profumo.
Mi ha spinto.
Verso la sua macchina. Quella blu.
Adesso ero io appoggiata al cofano.
Mi ha messo una mano tra le gambe. E lo ha fatto come se conoscesse alla perfezione ogni curva del mio corpo.
Ho sentito le calze smagliarsi.
Ho sentito la sua lingua cercarmi con vigore.
Lo volevo.
Mi voleva.
Eravamo noi.
La sua macchina blu.
Ed il mio vestito rosso.
Finalmente avevo capito perché lo avevo indossato.
Io, quella mattina, lo avevo indossato per lui.
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venerdì 29 gennaio 2016

Ho trascorso la giornata sola con la mia bambina. Lei ieri sera aveva un febbrone ed allora oggi siamo restate qui. Noi due.
Non capitano spesso questi momenti da sole. Ma oggi ce la siamo presa una pausa tra donne.
Abbiamo guardato la TV ed ascoltato la musica.
Ci siamo messe le creme e truccate.
Ci siamo pettinate e date lo smalto....
Ma soprattutto ci siamo raccontate i segreti.
Il nome della migliore amica e del bambino che le fa battere il cuore.
E la cosa più tenera è stata che lei ha parlato a bassa voce per tutto il tempo. Si avvicinava e mi sussurrava all'orecchio. Perché non contava che in casa fossimo solo noi due.
Un segreto è sempre un segreto.
E per essere tale va regalato sottovoce.
Vittoria ha sette anni.
Oggi mi sono incantata a guardarla. L'ho vista bellissima, anche con la febbre. E l'ho immaginata grande.
Tra una decina di anni. Coi jeans strappati e la maglia stretta. Col rossetto e la coda di cavallo. Col rimmel e magari il piercing al naso.
Mi sono chiesta cosa farà.
Dove andrà.
Quale sarà il suo sogno.
Ma ho pregato solo per una cosa.
Che con i jeans, il mascara, il rossetto ed il piercing al naso, abbia ancora la voglia di avvicinarsi a me. Di ricordare questo giorno e sussurrarmi all'orecchio. Il nome della migliore amica e del ragazzino che magari, quella stessa sera, la bacerà.

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sabato 23 gennaio 2016

La mia non è una famiglia tradizionale.
Perché io sono separata ed alla sera mi trovo sul divano coi miei due bambini. Noi tre.
Lo stesso succede, a weekend alterni, quando questi stessi bambini stanno col loro babbo.
Passano giorni in cui rimpiango le serate trascorse tutti e quattro davanti alla TV. Quello sì.
Ma non ho niente da invidiare a moltissime famiglie apparentemente tradizionali....
Dove in realtà ci si tradisce e ci si manca di rispetto. Si va avanti per noia o solo per comodità.
Si resta insieme per paura o per mera forma.
Famiglia è dove c'è amore.
Ed io ho la fortuna di respirarne parecchio.
Quindi quella cazzo di scritta illuminata al portone di casa mia, io ce la metto. Perché io ne ho diritto.
Anche se poi entri e siamo solo in tre. Ma tre che si amano. Tanto.

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